Voci da mondi diversi. Medio Oriente
FRESCO DI LETTURA
Zeruya Shalev, “Dolore”
Ed.
Feltrinelli, Trad. E. Loewenthal, pagg. 286, Euro 15,30
L’inglese ha due parole diverse per indicare
il dolore, pain e sorrow. L’ebraico, così come l’italiano, ci aiuta con un solo vocabolo per indicare il dolore fisico e quello dell’anima.
Si intitola “Dolore” il nuovo romanzo
della scrittrice israeliana Zeruya Shalev e ruota, ancora ed ancora, intorno ad
entrambi i tipi di dolore.
Sono passati dieci anni da quando Iris è stata ferita gravemente durante un attentato a Gerusalemme. Glielo
ricorda il marito, la mattina in cui inizia il romanzo, con l’immediato risveglio del dolore nel corpo di Iris a cui ritornano in mente i
dettagli di quella giornata, la casualità di quanto era accaduto. Non doveva
essere lei ad accompagnare i figli a scuola- se fosse uscita più tardi per andare al lavoro, se Omer non avesse fatto i capricci e se Alma non avesse voluto essere
pettinata con la coda di cavallo, se
li avesse fatti scendere dall’auto prima, davanti alla scuola, lei non si
sarebbe trovata dietro all’autobus che era saltato per aria. La casualità della vita e della morte. Ora,
davanti alla recrudescenza del male, il marito fissa un appuntamento da uno specialista
di terapia del dolore. E Iris, con un tuffo al cuore, lo riconosce: il dottor
Rosen si chiamava Rosenfeld, è Eitan, invecchiato ma sempre Eitan, il suo primo amore di quando
aveva diciassette anni e aveva creduto sarebbe morta quando lui l’aveva
lasciata.
Dov’è tutto questo dolore se la storia
prosegue con l’amore ritrovato per un uomo di cui Iris registra il numero di
telefono con il nome “Dolore”? la realtà
non è semplice, non è lineare, come non è lineare il pensiero di Iris, la voce
narrante del romanzo in una sorta di monologo
interiore che mescola frammenti di ricordi
di tempi diversi- la morte del padre quando lei aveva solo quattro anni (il
primo grande dolore), la malattia della madre di Eitan, i momenti di felicità
assoluta dell’amore della sua giovinezza e l’abisso della disperazione,
l’incontro con l’uomo buono che è ora suo marito e la nascita dei figli, la sua
carriera come preside di una scuola specializzata con alunni difficili. Ed
adesso questo- se la vita offre una
seconda occasione, non è giusto approfittarne? Per Iris il tempo dell’amore
si è fermato trent’anni prima, è pronta a lasciare il marito, i figli sono
grandi, Alma è già andata via di casa, abita a Tel Aviv, Omer potrebbe essere
chiamato al servizio militare a breve.
Eppure
succede qualcosa che fa frenare il
cuore di Iris. Qualcosa che sposta tutta l’attenzione dal suo vecchio nuovo
amore alla figlia, la bambina che
avrebbe voluto fosse figlia di lui, Eitan, perché ne avevano parlato nei loro
sogni di giovane coppia innamorata. Degli amici avevano osservato, con cautela,
quanto fosse cambiata Alma a Tel Aviv. Iris si era preoccupata, poi si era
distratta, aveva solo Eitan in mente. E invece, l’allarme era giustificato.
Ecco il nuovo dolore, il
convincimento irrazionale ma fortissimo che se lei sacrifica Eitan, Alma sarà
salva, il capovolgimento di quanto aveva pensato- prima di tutto vengono i figli, la responsabilità di un genitore è
prima di tutto verso di loro.
La storia d’amore, allora, bellissima e
struggente come tutte le storie che non si sono realizzate, romantica come
quelle dell’unico vero amore che non si confronta con la realtà, si amplia,
diventa storia d’amore di una famiglia
con il dolore della rinuncia che non è più sacrificio ma scelta. E lo stile narrativo
di Zeruya Shalev ci fa vivere dall’interno il dolore della protagonista nel suo
cammino verso l’accettazione del presente- “è
una vecchia storia”, dice, distaccandosi dal sogno.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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