Voci da mondi diversi. Svizzera
la Storia nel romanzo
FRESCO DI LETTURA
Alain Claude Sulzer, “Post scriptum”
Ed.
Sellerio, trad. M. Carbonaro, pagg. 239, Euro 16,00
Chi
cavalca così tardi nella notte e nel vento?/ E’ il padre con il suo bambino,/
lo stringe tra le braccia, lo tiene al sicuro e al caldo.
L’immagine
del padre che tiene tra le braccia il figlio morto ritorna per tre
volte nel nuovo romanzo dello scrittore svizzero Alain Claude Sulzer, “Post
scriptum”- all’inizio, a metà e alla fine. All’inizio del libro- è il 1894- i
versi di Goethe corrispondono ad un’immagine reale: Tobias, il fratellino di
Lion Kupfer, è annegato nel lago, il padre solleva il corpo per portarlo a
casa, Lion ha solo sei anni, non dimenticherà mai la scena. Nel 1933, a Sils
Maria dove il famoso attore Lionel Kupfer sta passando un periodo di riposo,
l’impiegato delle poste Walter fa ascoltare alla madre il disco in cui Kupfer
legge la poesia- ‘adesso ascolterai Kupfer’,
le aveva detto, orgoglioso del
fatto che lui conosceva di persona Kupfer, che lui (ma non poteva dirlo a sua madre),
ne era l’amante. Sapremo alla fine, nel post scriptum, come “Il re degli Elfi” fosse
stato lo spunto che aveva dato inizio alla carriera di Lionel Kupfer come
attore, come si fosse reso conto- recitando per gioco la scena del padre con il
figlio, di suo padre con Tobias- del
potere di suggestione che avrebbe potuto avere sullo schermo.
Nel 1933, a Sils Maria, Lionel Kupfer non
sa ancora che non tornerà più in Germania, che la sua carriera come grande
attore è finita, che la via dell’esilio si apre davanti a lui. E’ anche la via
della salvezza, ma è acquistare una vita perdendone un’altra, quella più vera.
E’ come se il mondo tenesse il fiato in sospeso, tra i monti nell’Engadina,
nello splendido albergo dove Kupfer è conosciuto, riverito, circondato da un
alone di leggenda. Nessuno si stupisce della sua alterigia, e neppure della sua
solitudine. Si bisbiglia delle sue amicizie maschili, ma anche persone molto
vicine a Hitler hanno amicizie particolari, si sa. L’impiegatuccio delle poste,
Walter, si intrufola nel grande albergo con una giacca che ha rubato, per un
qualche caso siede allo stesso tavolo dell’attore, lo guarda con occhi
adoranti, non è male come aspetto- perché Lionel non dovrebbe concedersi
un’avventura finché non lo raggiunge Eduard? Il quale però porta brutte
notizie. Kupfer è ebreo, è meglio che parta subito per gli Stati Uniti prima
che sia troppo tardi.
Un altro artista come protagonista ne “Il
post scriptum”. Il pianista Olsberg che diceva addio alla musica interrompendo
un’esecuzione ne “Il concerto”, e un attore che termina bruscamente, non per sua
volontà, la carriera- ovvero, riprenderà a recitare, ma in ruoli minori, in una
lingua non sua, dopo l’umiliazione di sentirsi accantonato, dimenticato,
ignorato.
Alain Claude Sulzer ha scelto una diversa
angolatura per parlarci del passato, della storia d’Europa e del nazismo. Ha
scelto una storia che parla di solitudine e di esilio, di doppia
discriminazione e di doppia solitudine, quella dell’ebreo e quella
dell’omosessuale. E la storia dentro la storia, quella di Walter che diventa
steward d’aereo e che incontrerà ancora, per caso, Kupfer (né l’uno né l’altro
lascerà vedere che si sono riconosciuti), è, in chiave minore, la stessa
dell’attore, in un tempo di ipocrisia che invitava a indossare la maschera del
perbenismo. Quella indossata dal tanto amato Eduard che si era messo a servizio
di Hitler, cercando di fare il doppio gioco con un finale tragico.
La sobrietà dello stile è nel DNA degli
svizzeri ed è ciò che ammiriamo in Sulzer. C’è senso della misura ed equilibrio
nel suo romanzo, un’essenzialità che è raffinatezza e buon gusto.
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