Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
Diaspora ebraica
biografia romanzata
FRESCO DI LETTURA
Jami Attenberg, “Santa Mazie”
Ed. Giuntina,
Trad. Paola Buscaglione Candela, pagg. 296, Euro 16,50
Mazie
Phillips Gordon. La ‘regina della
Bowery’, di quell’area di New York dove si insediavano gli immigrati appena
sbarcati, il regno della povertà, della prostituzione, del gioco d’azzardo,
delle gang, della corruzione. Durante la Depressione la gente dormiva sui
marciapiedi in Bowery Street, elemosinando un pezzo di pane, mettendosi in fila
per la distribuzione di una minestra calda. E tutti conoscevano Mazie, santa Mazie, che chiamava l’ambulanza
per i casi gravi, pagando il trasporto di sua tasca, che allungava banconote,
biscotti, pezzi di sapone e magari una fiaschetta di whisky- perché no? Non c’è
niente come il whisky per dare un po’ di calore quando la temperatura scende
sotto lo zero. Mazie che passava le giornate chiusa in un gabbiotto vendendo i biglietti della sala
cinematografica ‘Venice Theatre’, i capelli tinti di biondo, circondata dalle
cartoline che il suo amante capitano di mare le mandava dai porti dove
sbarcava. Mazie che aveva imparato a conoscere l’umanità squadrando le persone
in fila davanti al botteghino. Mazie che aveva una sola grande amica, una suora generosa quanto lei che però
aveva Cristo come amante. Mazie beona, Mazie con la sigaretta sempre in mano, Mazie
protettrice dei barboni, Mazie a cui nel 1939 era stato chiesto di scrivere la
storia della sua vita.
Jami Attenberg, di cui abbiamo già letto “I
Middlestein”, attinge alla storia vera diventata leggenda di Mazie Phillips
Gordon per il suo romanzo “Santa Mazie”. E’ un romanzo a più voci- le parti più brevi sono l’autobiografia che Mazie sta
scrivendo, sollecitata dallo scrittore che le aveva chiesto un’autobiografia, le più schiette, il grosso nucleo del
romanzo, sono le pagine del diario
che Mazie incomincia a scrivere il giorno del suo decimo compleanno, il primo
di novembre del 1907. Ci sono poi pagine di ‘testimonianze’, di persone che raccontano, come se fossero
intervistate e gli venisse richiesto di parlare di Mazie, di come l’hanno
conosciuta- sono amici, conoscenti, la bisnipote del gestore del cinema, il
figlio dell’uomo amato da Mazie, il capitano a cui lei confessò molto tardi che
era rimasta incinta ma che il bambino era morto. E’ tutto questo che rende il
romanzo tanto vario- sono le pagine
del diario quelle che attendiamo di leggere con maggiore aspettativa, perché
Mazie è sincera (lo è nella vita,
tanto più quando scrive per sé), altruista (fa il bene come se fosse la cosa
più naturale da farsi), immediata nelle
sue reazioni, tenacemente attaccata
a quello che è rimasto della sua famiglia (la sorella maggiore che ha strappato
Mazie e la piccola Jeanie da un padre violento e da una madre debole), eppure le
altre narrazioni, le voci che ribadiscono la sua, che completano il suo
ritratto ‘dall’esterno’, sono importanti perché spezzano la narrazione, la
rendono più vivace, la illuminano di
altri colori.
La storia della vita di Mazie non è solo la
storia di una donna. E’ la storia di New York che non è ancora
la Grande Mela, che vede il ritorno dei reduci da una guerra poco sentita in
Europa, che attraversa il Proibizionismo e la caduta della Borsa, la storia di
quella parte di America che impara l’arte del trafficare- contrabbando,
spaccio, prostituzione, locali proibiti- per arricchirsi (o per sopravvivere), la storia delle donne nella prima metà
del secolo scorso. Ed è una storia di sentimenti, di altruismo, di solidarietà
famigliare. Una storia del coraggio di
non uniformarsi, di non limitarsi a guardare intorno a sé ma di fare, di
modificare quello che è possibile senza aspettarsi nulla in cambio.
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