sabato 9 luglio 2016

Jami Attenberg, “Santa Mazie” 2016

                                     Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
         Diaspora ebraica
         biografia romanzata
         FRESCO DI LETTURA

Jami Attenberg, “Santa Mazie”
Ed. Giuntina, Trad. Paola Buscaglione Candela, pagg. 296, Euro 16,50

   Mazie Phillips Gordon. La ‘regina della Bowery’, di quell’area di New York dove si insediavano gli immigrati appena sbarcati, il regno della povertà, della prostituzione, del gioco d’azzardo, delle gang, della corruzione. Durante la Depressione la gente dormiva sui marciapiedi in Bowery Street, elemosinando un pezzo di pane, mettendosi in fila per la distribuzione di una minestra calda. E tutti conoscevano Mazie, santa Mazie, che chiamava l’ambulanza per i casi gravi, pagando il trasporto di sua tasca, che allungava banconote, biscotti, pezzi di sapone e magari una fiaschetta di whisky- perché no? Non c’è niente come il whisky per dare un po’ di calore quando la temperatura scende sotto lo zero. Mazie che passava le giornate chiusa in un gabbiotto vendendo i biglietti della sala cinematografica ‘Venice Theatre’, i capelli tinti di biondo, circondata dalle cartoline che il suo amante capitano di mare le mandava dai porti dove sbarcava. Mazie che aveva imparato a conoscere l’umanità squadrando le persone in fila davanti al botteghino. Mazie che aveva una sola grande amica, una suora generosa quanto lei che però aveva Cristo come amante. Mazie beona, Mazie con la sigaretta sempre in mano, Mazie protettrice dei barboni, Mazie a cui nel 1939 era stato chiesto di scrivere la storia della sua vita.

    Jami Attenberg, di cui abbiamo già letto “I Middlestein”, attinge alla storia vera diventata leggenda di Mazie Phillips Gordon per il suo romanzo “Santa Mazie”. E’ un romanzo a più voci- le parti più brevi sono l’autobiografia che Mazie sta scrivendo, sollecitata dallo scrittore che le aveva chiesto un’autobiografia, le più schiette, il grosso nucleo del romanzo, sono le pagine del diario che Mazie incomincia a scrivere il giorno del suo decimo compleanno, il primo di novembre del 1907. Ci sono poi pagine di ‘testimonianze’, di persone che raccontano, come se fossero intervistate e gli venisse richiesto di parlare di Mazie, di come l’hanno conosciuta- sono amici, conoscenti, la bisnipote del gestore del cinema, il figlio dell’uomo amato da Mazie, il capitano a cui lei confessò molto tardi che era rimasta incinta ma che il bambino era morto. E’ tutto questo che rende il romanzo tanto vario- sono le pagine del diario quelle che attendiamo di leggere con maggiore aspettativa, perché Mazie è sincera (lo è nella vita, tanto più quando scrive per sé), altruista (fa il bene come se fosse la cosa più naturale da farsi), immediata nelle sue reazioni, tenacemente attaccata a quello che è rimasto della sua famiglia (la sorella maggiore che ha strappato Mazie e la piccola Jeanie da un padre violento e da una madre debole), eppure le altre narrazioni, le voci che ribadiscono la sua, che completano il suo ritratto ‘dall’esterno’, sono importanti perché spezzano la narrazione, la rendono più vivace, la illuminano di altri colori.

    La storia della vita di Mazie non è solo la storia di una donna. E’ la storia di New York che non è ancora la Grande Mela, che vede il ritorno dei reduci da una guerra poco sentita in Europa, che attraversa il Proibizionismo e la caduta della Borsa, la storia di quella parte di America che impara l’arte del trafficare- contrabbando, spaccio, prostituzione, locali proibiti- per arricchirsi (o per sopravvivere), la storia delle donne nella prima metà del secolo scorso. Ed è una storia di sentimenti, di altruismo, di solidarietà famigliare. Una storia del coraggio di non uniformarsi, di non limitarsi a guardare intorno a sé ma di fare, di modificare quello che è possibile senza aspettarsi nulla in cambio.




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