Voci da mondi diversi. Australia
il libro ritrovato
David Malouf, “Io sono Achille”
Ed. Frassinelli, trad. Francesca
Pe’, pagg. 213, Euro 17,50
Il venerando veglio entrò, non visto da
veruno; e tosto fattosi innanzi, tra le man si prese le ginocchia d’Achille, e,
singhiozzando, la tremenda baciò destra omicida, che di tanti suoi figli orbo
lo fece.
Così, nella traduzione di
Vincenzo Monti, canta Omero nel ventiquattresimo canto dell’Iliade che conclude
il poema epico con la scena del vecchio re Priamo che si reca al campo degli
achei per chiedere ad Achille la restituzione del corpo del figlio Ettore.
Nel romanzo “Io sono Achille” lo
scrittore David Malouf, di origini anglo-libanesi ma nato e residente in
Australia, ci offre una straordinaria versione dell’ultimo canto dell’Iliade,
mantenendo fermi tutti i dettagli della vicenda- una storia di guerra e di
vendetta, di perdita e di amore, di umiliazione e di perdono- interpretandola
però in maniera moderna, sostituendo il sogno all’ordine degli dei, scavando
nei sentimenti dei due protagonisti, offrendo ad entrambi la possibilità di un
cambiamento radicale, di un’esperienza interiore che segnerà la loro vita.
Secondo la mitologia greca la guerra di
Troia scoppiò in seguito al rapimento di Elena, regina di Sparta, da parte di
Paride, figlio di Priamo, re di Troia. Troia fu assediata dagli eserciti del
marito Menelao e di Agamennone, fratello di questi, e la guerra durò circa
dieci anni. L’Iliade di Omero non finisce con la sconfitta dei troiani e la
distruzione della città, ma con la cerimonia funebre per Ettore e il rogo del
suo corpo.
Il libro di Malouf inizia con il
dolore di Achille per la morte di Patroclo, l’amico-quasi-fratello, o forse più
che un fratello. E Malouf è grande nell’essere capace di suggerire tutto quello
che sta dietro l’eroe greco: Achille è accovacciato sul declivio di ciottoli
che scende verso il mare. “La voce che quest’uomo aspetta di udire è la voce di
sua madre”: è sufficiente questo per farci ricordare il mito secondo cui Achille
è figlio di un uomo e di una ninfa immortale, madre sfuggente come le onde del
mare, di cui il ragazzo Achille soffrirà la mancanza. Finché era arrivato
Patroclo, accompagnato dal padre, re di Opunte, che chiedeva un rifugio per
lui, reo di aver ucciso il figlio di un funzionario di corte. Poche righe
bastano per illustrare il legame che unirà due ragazzini soli che saranno per
sempre l’uno il sostegno, quasi il doppio dell’altro. E ora che Achille è di
nuovo solo, non gli basta sfidare Ettore, l’uccisore di Patroclo, e vincerlo.
La morte non è vendetta sufficiente. Ettore deve mangiare la polvere anche da
morto, il suo cadavere deve essere straziato: ogni giorno, per undici giorni,
il suo corpo viene legato al carro di Achille che lo trascina in una folle
corsa intorno al tumulo delle ossa di Patroclo.
Dentro le mura di Troia Priamo piange la
morte del figlio. E ha un sogno che gli rivela quello che deve fare: vestirsi
con la tunica più semplice e farsi accompagnare al campo di Achille con un
carretto trainato da muli. Sul carro metteranno un tesoro da offrire per
riscattare il corpo di Ettore. La moglie e i figli obiettano- è impensabile,
per un re, comportarsi così. Priamo insiste, Priamo si infuria quando i suoi
ordini non vengono eseguiti ed appare un cocchio con splendidi destrieri.
Priamo sente di doversi spogliare di qualunque insegna che lo rende diverso
dagli altri: Priamo si recherà da Achille come un uomo e come un padre che
reclama il figlio morto. Naturalmente la spunta, si farà come vuole lui.
C’è qualcosa della figura di Cristo in
questo vecchio in un’epoca ben lontana dalla venuta di Cristo sulla terra.
Qualcosa del figlio di Dio che si fa uomo e soffre come un uomo per riscattare
il peccato del primo uomo. Dopo tutto anche Cristo era entrato a Gerusalemme a
dorso di un asino. Per Priamo è un’esperienza nuova in ogni suo dettaglio. E’
nuovo indossare una semplice veste bianca, nuovo sedersi sulla dura panca a
fianco del carrettiere che non ha mai visto prima, nuovo sentirsi rivolgere la
parola in maniera così diretta da qualcuno che non ha la minima idea delle
formule con cui ci indirizza ad un re. Sono nuove le cose che si sente
raccontare da quest’uomo, le esperienze di vita quotidiana che lui non conosce
affatto.
Priamo impara ad essere un ‘uomo’
dallo sconosciuto carrettiere e si rende conto, per la prima volta, di quanto
abbia perso nella vita- lui che aveva tutto. Ha perso la percezione del reale
che viene dal cuore. Il viaggio verso Achille diventa- come tutti i viaggi- un
percorso di apprendimento. E quando Priamo arriva a destinazione, è pronto per
incontrare il temuto eroe, gli è facile trovare le parole giuste. Ne segue un
accordo e una breve pace per l’anima di entrambi gli uomini in lutto.
“Io sono Achille” ci ricorda il valore dei
miti: vecchi come il mondo eppure sempre attuali. E il valore della poesia.
Perché Malouf scrive in una splendida prosa poetica, trasforma la poesia aulica
del poema omerico in una poesia fatta di immagini e di parole, di frasi
costruite in maniera che non hanno bisogno della rima per essere poesia.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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