sabato 16 luglio 2016

Pajtim Statovci, “L’ultimo parallelo dell’anima” ed. 2016

                                                             vento del Nord
                                                             romanzo di formazione
                                                             FRESCO DI LETTURA


Pajtim Statovci, “L’ultimo parallelo dell’anima”
Ed. Frassinelli, trad. N. Rainò, pagg. 256, Euro 18,50

   Emine, la madre.
   Beqim, uno dei cinque figli.
   Emine, nel 1980, in Kosovo.
   Beqim, in Finlandia, ai nostri giorni.
Sono due voci con una storia unica, che incomincia nei Balcani in un tempo che sembra più lontano di quello che è in realtà, perché le usanze dettate dalla tradizione e lo stile di vita sono rimasti inalterati da tempo immemorabile, e che termina- o che non termina affatto tranne che nel romanzo- in un altro paese lontanissimo dal Kosovo, un paese che non sarà mai la loro patria, come non lo sarà più neppure quello da cui la famiglia è partita nel 1993 in fuga dalla guerra.
    Nel 1980 Emine è giovanissima. La sua famiglia è povera. Quando uno sconosciuto la vede, mentre sta andando a scuola, si incapriccia di lei e va a chiederla in moglie insieme a suo padre, c’è qualcuno che tentenna, che si oppone, che prende tempo? No di certo. Non ce n’è motivo. Bajram è un bell’uomo, studia all’università di Pristina, è ricco e la sommerge di regali. Questa è l’usanza, l’amore verrà dopo, Emine è fortunata. Che poi lui le dia uno schiaffo mentre lei, vestita di bianco, è seduta in automobile vicino a lui (come mai questa trasgressione al rigido galateo della cerimonia?) mentre stanno andando a sposarsi, è l’annuncio di un futuro non del tutto felice. Lo sposo non rispetterà affatto le promesse fatte davanti al padre di lei, non sarà né riguardoso, né affettuoso e tanto meno rispettoso.

Il giorno del matrimonio di Emine segna un cambiamento epocale non solo nella sua vita: alla radio annunciano la morte di Tito, l’uomo che era stato capace di dare coesione agli stati dei Balcani. Le difficoltà iniziano subito, la minaccia grava nell’aria, la partenza viene decisa nel 1993. Si scartano paesi troppo lontani, come l’America o l’Australia, si sceglie la Finlandia. Senza un motivo preciso, si pensa che laggiù, anzi, lassù si debba stare bene.
   La realtà dell’esilio è durissima. Affiora sia dal racconto di Emine, sia da quello di Beqim di cui sappiamo subito- per un incontro fissato con un appuntamento online- che è gay.
Da Beqim sappiamo dell’umiliazione di sentirsi diversi- ad iniziare dal nome insolito che sperava nessuno mai gli chiedesse per non dover dare spiegazioni-, dell’emarginazione, dell’essere trattati come selvaggi, come paria, come sfruttatori, delle difficoltà della lingua- e su due fronti, poi, perché guai a parlare finlandese in casa. Alla fine della guerra, d’estate si tornava in Kosovo. Si sognava quel ritorno e poi non si vedeva l’ora di fuggire, di nuovo, di tornare al Nord, nel paese dove non erano desiderati. Erano degli estranei in Finlandia e lo erano anche in patria, ormai.
    Una particolarità del racconto di Beqim rende la lettura più difficile e tuttavia è intesa ad esprimere la sensazione di alterità del protagonista- Beqim ama i gatti e i serpenti. Tiene in casa un serpente boa come amico ed un gatto parlante (il titolo originale, Kissani Jugoslavia, significa ‘il mio gatto Jugoslavia’). Al lettore indagarsi sulle metafore nascoste dietro questi animali e che cosa sia avvenuto nella vita di Beqim bambino quando soffriva di incubi in cui era attaccato da serpenti.


    “L’ultimo parallelo dell’anima” è un originale doppio romanzo di formazione- di un ragazzo e di una donna per cui il drastico cambiamento finale è una meta ancora più ardua che mai si sarebbe immaginata. Romanzo dell’esilio e delle divisioni all’interno dell’Europa, il brillante esordio di un giovane autore (nato nel 1990 in Kosovo e trasferitosi in Finlandia quando aveva due anni) che con questo libro si è aggiudicato il premio Helsingin Sanomat Literature.


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