martedì 30 giugno 2015

Serena Vitale, “Il defunto odiava i pettegolezzi” ed. 2015

                                                                 Casa Nostra.Qui Italia
          FRESCO DI LETTURA


Serena Vitale, “Il defunto odiava i pettegolezzi”
Ed. Adelphi, pagg. 284, Euro 16,15


      Vladimir Majakovskij, Volodja per gli amici. Un poeta. Un gigante. Un gigante non soltanto perché era grande e grosso (non è solo il notorio amore dei russi per tutto quello che è grande a far sì che le statue che lo rappresentino siano enormi), ma perché aveva una personalità dirompente e imponente. Guardiamo le sue foto. Naso carnoso e pronunciato e occhi profondi e magnetici. Ti inchiodano. Come i suoi versi di poeta ribelle e anticonformista.
     Il 14 aprile 1930 Vladimir Majakovskij morì, quando non aveva ancora compiuto trentasette anni. D’altra parte per lui la giovinezza finiva a trent’anni. Morì suicida, sparandosi un colpo di pistola nella stanzetta di una kommunalka, uno di quei grandi appartamenti le cui singole stanze erano date come alloggio a persone diverse, spesso a famiglie intere che si accalcavano in quello spazio ristretto. Con lui c’era una delle tante donne da lui amate, l’attrice Veronika Polonskaja. E per qualcuno che, nella lettera di addio, ha scritto, “Non incolpate nessuno della mia morte e, per piacere, non fate pettegolezzi. Il defunto li odiava.”, quanti pettegolezzi, quante versioni diverse di quello che era accaduto, furono diffusi in giro. Le ultime parole della lettera contengono un addio che ha sapore di Shakespeare, così lapidario: “L’incidente è chiuso,/ la barca dell’amore si è schiantata”.

      Nel suo libro-saggio, “Il defunto odiava i pettegolezzi”, Serena Vitale, professoressa di letteratura russa, traduttric, scrittrice di cui ricordiamo “Il bottone di Pushkin”, ricostruisce la morte- e la vita, soprattutto la vita, per cercare di spiegarne la morte- di Vladimir Majakovskij. Prima la morte, come fosse un’indagine poliziesca. Le ore e i minuti. Che cosa aveva fatto il poeta il giorno precedente. Quando era arrivato in quella che era una delle sue due abitazioni. In taxi. Con Veronika Polonskaja. Veronika era uscita dalla stanza prima o dopo lo sparo? Il giorno prima aveva detto che lo avrebbe lasciato e invece, il 14 di aprile, gli aveva detto che avrebbe lasciato il marito? Si è ucciso per amore, Volodja? Per le critiche alla sua ultima produzione teatrale? E con quale pistola? E’ possibile che c’entrassero i servizi segreti nella sua morte?
Veronika Polonskaja
Leggiamo e rileggiamo le affermazioni dei vari testimoni, spesso ci sono evidenti contraddizioni, la voce fuori campo della scrittrice ce le fa notare, commenta per noi quanto è stato detto (dopo l’apertura degli archivi nel 1991 si sono potute avere più informazioni), mescola in maniera intrigante il presente dei mesi e dei giorni che precedono la morte con il passato, i viaggi di Majakovskij all’estero, lo strano ménage a tre con Lilja Brik e il marito di questa, l’amore per un’altra donna ancora, Tatiana Jakovleva, la bella Tatà sposata De Plexis, e per Elly Jones conosciuta in America da cui il poeta ebbe una figlia (la incontrò solo una volta). Non solo. Serena Vitale inserisce stralci di poesie, o poesie intere, nella narrazione e il lettore si trova del tutto immerso in un’atmosfera che è poesia- le grandi purghe di Stalin devono ancora venire e Volodja è il cantore della rivoluzione (avverte già un filo di delusione?), è il più grande interprete di una vita che celebra il libero amore e rifiuta i lacci dell’amore convenzionale della società piccolo borghese: “Per me l’amore non si misura con le nozze.”. Ma poi ne muore.


    “Buona permanenza al mondo”, augura Vladimir Majakovskij in chiusura della sua ultima lettera (perché scritta a matita? Amava le penne stilografiche, c’è una foto in cui sembra che discosti la falda della giacca per mostrare la penna che spunta dal taschino). E’ come se lo dicesse anche a noi che viviamo quasi cento anni dopo la sua morte. Ma è morto Majakovskij? Può morire la poesia? Di certo no, finché un libro bello e appassionante come questo di Serena Vitale contribuisce a farcelo ricordare.


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