Voci da mondi diversi. Area germanica
cento sfumature di giallo
FRESCO DI LETTURA
Friedrich Ani, “Süden.
Il caso dell’oste scomparso”
Ed.
emons, trad. Emilia Benghi, pagg. 317, Euro 13,50
Titolo
originale: Süden
Nei dodici anni di attività in
polizia aveva imparato che a un certo punto della ricerca di uno scomparso era
importante mettersi nei suoi panni senza alcuna remora, indipendentemente da
motivazioni e circostanze, senza curarsi di ciò che esige il contesto e delle
giustificate supposizioni dei criminologi.
Solo grazie a una completa identificazione col ricercato lo sguardo di Süden era spesso riuscito a penetrare
nella stanza segreta, ignota a tutti. lui allora assumeva uno strano
atteggiamento, a un tratto smetteva di condividere la sofferenza, le paure e
l’insicurezza di parenti, amici e compari, condivideva solo lo stato dello
scomparso. Taceva come lui, voltava le spalle come lui, dimenticava tutti
quanti come lui.
Tabor Süden: un nome insolito per un giallo insolito, un nome che
contiene un miscuglio di culture- Tabor come il monte Tabor in Galilea, Süden che fa pensare al Sud- e un giallo
che è un’indagine di ricerca, nello stesso tempo di una persona scomparsa e del
se stesso del protagonista. Con un autore che è figlio di padre siriana e madre
bavarese.
E ritorniamo a Tabor Süden. Cinquantadue anni, ex poliziotto,
non sposato. Dopo anni di assenza ritorna da Colonia a Monaco di Baviera (il Sud della Germania) con una duplice
motivazione, una ufficiale- gli è stato proposto di lavorare per un’agenzia
privata di investigazioni- e una nascosta- ha ricevuto una telefonata da suo
padre che non vede da quando aveva sedici anni.
Anche quando lavorava in polizia Tabor Süden si occupava della ricerca di persone scomparse. Penso a
Erlendur, il protagonista dei romanzi dell’islandese Indriðason che è sempre
sulle tracce di persone scomparse. E la stessa motivazione psicologica che è
alla base dell’ossessionante ricerca di Erlendur (il fratellino perso nella
tormenta di neve) spinge Tabor- per lui è proprio quel padre che si è appena
rifatto vivo dopo essere svanito nel nulla una vita prima, lasciando solo il
figlio che già aveva subito la perdita della madre, con l’unica compagnia
dell’amico Martin che sarebbe svanito nella morte senza che Tabor potesse fare
nulla per lui.
Tabor beve troppo, è stravagante, non
ha neppure un cellulare (quando lo dice, suscita diffidenza: un detective senza
cellulare?), si lascia sedurre al primo incontro da una delle ragazze coinvolte
nella scomparsa dell’oste che lui è pagato per trovare. E tuttavia ha un fiuto
incredibile. Perché si mette nei panni della persona di cui è sulle tracce, si
immedesima fino a riuscire a pensare come lui (è per quello che va a letto con
Lilli? Per provare quello che Raimund, detto Mundl, ha provato?). E poi è
umano. Troppo per fare il poliziotto. Non è capace di mantenere le distanze.
Non gli importa di essere pagato quando riesce a ritrovare la madre snaturata
del dodicenne Benedikt lasciato solo per tutte le vacanze di Pasqua, con un
padre beone che neppure ha risposto alla sua telefonata in cerca di aiuto. E
per quello che riguarda Mundl, scomparso da due anni, Tabor capisce che la
chiave del mistero è nel motivo per cui quattro anni prima, due prima della
scomparsa, Mundl si è seduto sulla sedia del ristorante, senza parlare, fissando
il vuoto.
Non ci sono morti, ne “Il caso dell’oste scomparso”. Almeno, non ci sono
morti assassinati. L’attrattiva della lettura è nel rovello di Tabor, nelle sue
peregrinazioni per Monaco, nel suo scrutare i visi dei barboni che incontra-
alla stazione, perché si sentivano gli annunci dei treni, sullo sfondo della
telefonata di suo padre-, ricordando il passato, cercando un padre inesistente
e nello stesso tempo portando avanti l’indagine, incontrando tutti quelli che
possono aiutarlo a capire che cosa sia successo a Mundl. Perché Tabor si sente
sicuro che l’oste sia ancora vivo, da qualche parte, inseguendo qualcosa, un
sogno, o se stesso, chissà. E tutto si mescola, a volte la barriera sottile fra
ricercatore e uomo scomparso si fa quasi inesistente, e in realtà Tabor è
veramente libero di andare fino in fondo alla ricerca solo dopo aver scoperto la
verità sulla scomparsa del padre. Arrivando in un posto lontano, l’isola di
Sylt che è una sorta di Eden, seguendo sempre il suo intuito eccezionale.
Un romanzo ben scritto, con un personaggio interessante, una novità
gradita sulla scena del giallo.
la recensione sarà pubblicata su www.wuz.it
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