giovedì 4 giugno 2015

Friedrich Ani, “Süden. Il caso dell’oste scomparso” ed. 2015

                                                   Voci da mondi diversi. Area germanica
  cento sfumature di giallo
  FRESCO DI LETTURA

Friedrich Ani, “Süden. Il caso dell’oste scomparso
Ed. emons, trad. Emilia Benghi, pagg. 317, Euro 13,50
Titolo originale: Süden


Nei dodici anni di attività in polizia aveva imparato che a un certo punto della ricerca di uno scomparso era importante mettersi nei suoi panni senza alcuna remora, indipendentemente da motivazioni e circostanze, senza curarsi di ciò che esige il contesto e delle giustificate supposizioni dei criminologi.
  Solo grazie a una completa identificazione col ricercato lo sguardo di Süden era spesso riuscito a penetrare nella stanza segreta, ignota a tutti. lui allora assumeva uno strano atteggiamento, a un tratto smetteva di condividere la sofferenza, le paure e l’insicurezza di parenti, amici e compari, condivideva solo lo stato dello scomparso. Taceva come lui, voltava le spalle come lui, dimenticava tutti quanti come lui.

     Tabor Süden: un nome insolito per un giallo insolito, un nome che contiene un miscuglio di culture- Tabor come il monte Tabor in Galilea, Süden che fa pensare al Sud- e un giallo che è un’indagine di ricerca, nello stesso tempo di una persona scomparsa e del se stesso del protagonista. Con un autore che è figlio di padre siriana e madre bavarese.
E ritorniamo a Tabor Süden. Cinquantadue anni, ex poliziotto, non sposato. Dopo anni di assenza ritorna da Colonia a Monaco di Baviera (il Sud della Germania) con una duplice motivazione, una ufficiale- gli è stato proposto di lavorare per un’agenzia privata di investigazioni- e una nascosta- ha ricevuto una telefonata da suo padre che non vede da quando aveva sedici anni.
   Anche quando lavorava in polizia Tabor Süden si occupava della ricerca di persone scomparse. Penso a Erlendur, il protagonista dei romanzi dell’islandese Indriðason che è sempre sulle tracce di persone scomparse. E la stessa motivazione psicologica che è alla base dell’ossessionante ricerca di Erlendur (il fratellino perso nella tormenta di neve) spinge Tabor- per lui è proprio quel padre che si è appena rifatto vivo dopo essere svanito nel nulla una vita prima, lasciando solo il figlio che già aveva subito la perdita della madre, con l’unica compagnia dell’amico Martin che sarebbe svanito nella morte senza che Tabor potesse fare nulla per lui.
Tabor beve troppo, è stravagante, non ha neppure un cellulare (quando lo dice, suscita diffidenza: un detective senza cellulare?), si lascia sedurre al primo incontro da una delle ragazze coinvolte nella scomparsa dell’oste che lui è pagato per trovare. E tuttavia ha un fiuto incredibile. Perché si mette nei panni della persona di cui è sulle tracce, si immedesima fino a riuscire a pensare come lui (è per quello che va a letto con Lilli? Per provare quello che Raimund, detto Mundl, ha provato?). E poi è umano. Troppo per fare il poliziotto. Non è capace di mantenere le distanze. Non gli importa di essere pagato quando riesce a ritrovare la madre snaturata del dodicenne Benedikt lasciato solo per tutte le vacanze di Pasqua, con un padre beone che neppure ha risposto alla sua telefonata in cerca di aiuto. E per quello che riguarda Mundl, scomparso da due anni, Tabor capisce che la chiave del mistero è nel motivo per cui quattro anni prima, due prima della scomparsa, Mundl si è seduto sulla sedia del ristorante, senza parlare, fissando il vuoto.

   Non ci sono morti, ne “Il caso dell’oste scomparso”. Almeno, non ci sono morti assassinati. L’attrattiva della lettura è nel rovello di Tabor, nelle sue peregrinazioni per Monaco, nel suo scrutare i visi dei barboni che incontra- alla stazione, perché si sentivano gli annunci dei treni, sullo sfondo della telefonata di suo padre-, ricordando il passato, cercando un padre inesistente e nello stesso tempo portando avanti l’indagine, incontrando tutti quelli che possono aiutarlo a capire che cosa sia successo a Mundl. Perché Tabor si sente sicuro che l’oste sia ancora vivo, da qualche parte, inseguendo qualcosa, un sogno, o se stesso, chissà. E tutto si mescola, a volte la barriera sottile fra ricercatore e uomo scomparso si fa quasi inesistente, e in realtà Tabor è veramente libero di andare fino in fondo alla ricerca solo dopo aver scoperto la verità sulla scomparsa del padre. Arrivando in un posto lontano, l’isola di Sylt che è una sorta di Eden, seguendo sempre il suo intuito eccezionale.

    Un romanzo ben scritto, con un personaggio interessante, una novità gradita sulla scena del giallo.

la recensione sarà pubblicata su www.wuz.it




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