Casa Nostra. Qui Italia
FRESCO DI LETTURA
Paola Capriolo, “Mi ricordo”
Ed. Giunti, pagg. 268, Euro 16,00
E io, Maestro? Io, tornata a casa, ebbi
l’imperdonabile vanità di voler sopravvivere. Nascosi il marchio veridico
impresso nella mia carne sotto un bracciale d’argento che da allora non tolgo
mai, nemmeno quando dormo. Potessi recintare così la mia mente, nascondere con
tanta facilità il marchio che porto impresso dentro, in ogni fibra… Allora
forse sarei una donna felice. Una moglie, una madre, non una profuga che la
casa della gioia, questa patria infernale, ha lasciato dietro di sé. Sarei
qualcuno che non avrebbe più bisogno di scriverti, perché non ricorderebbe, in
tutto quel cozzare di stivali, di aver pensato a te come al principe assente.
Un
paese indefinito. Potrebbe essere l’Austria.
Sonja, una cinquantina d’anni, si
presenta per un posto di badante di un uomo anziano- è l’indirizzo
dell’abitazione che l’ha fatta decidere.
Adela, un’adolescente che scrive
lettere auliche ad un poeta che l’ha incantata e commossa durante un incontro
di lettura delle sue poesie.
Due donne, due storie, due tempi
diversi che diventano una sola storia, l’una il proseguimento dell’altra, il
tempo dell’una la necessaria spiegazione del tempo dell’altra. E il vecchio che
retrocede sempre più in una condizione senile, che confonde tempi e persone,
sta per gli uomini deboli di questa vicenda. Per il padre di Sonja che è
scivolato nell’ubriachezza dopo la morte della moglie (sua madre le aveva
chiesto, ‘sai perché amo tuo padre? Perché è un perdente’), per il poeta
cantore di parole vuote che si tira indietro al primo accenno di pericolo- che
delusione amare un uomo così, che spreco della propria vita metterla a rischio
per un uomo a cui perfino i testi di letteratura dedicano solo un paio di
righe.
Sonja non è un personaggio accattivante,
come non lo è il vecchio di cui deve prendersi cura. Comprendiamo subito che
lei conosce la casa, che forse è la casa in cui ha vissuto da bambina, che sì,
quella è proprio la cameretta rosa della sua infanzia, che il fiume che
rumoreggia in fondo al giardino è quello…I tasselli dei ricordi si incastrano a
poco a poco, fanno rivivere la bambina rimasta orfana prima di madre (una mamma
che si irrigidiva quando le sue manine si posavano su di lei) e poi di padre
(una volta, era ubriaco, le aveva detto che la mamma aveva sempre amato un altro)
e il quadro si fa completo dopo un’esplorazione della soffitta- il luogo dove
nei romanzi (ma non solo) si accatasta il vecchiume e dove, però, si trova
anche il tesoro nascosto. Sonja trova le lettere della madre. E di un altro.
Neppure Adela è simpatica, ascoltando la
sua voce nelle prime lettere. Troppo invasata, troppo sulle nuvole. Le dà corda
il Poeta? Difficile a dirsi. Poi, a poco a poco, il tono delle lettere cambia.
La realtà fa la sua brusca irruzione.
Prima sono le leggi di Norimberga, l’incredulità
davanti a disposizioni incomprensibili. Il fragore della Notte dei Cristalli- i
vetri che lastricano le strade si mescolano ai frammenti del cuore spezzato di
Adela. Le limitazioni, il padre medico che non può più esercitare, la stella
gialla sugli abiti. Il Poeta si tira indietro. Adela mal sopporta che il
giovane collega di suo padre, quello che la adora e che lei chiama con
disprezzo ‘il dottorino’, faccia quello che lei avrebbe voluto fosse ‘il suo’
Poeta a fare: si schiera dalla loro parte, osa sfidare i puri ariani per lei,
per loro.
Il lettore può immaginare quello che ne
sarà, di Adela e della sua famiglia. Ma anche Sonja deve in parte immaginare in
che cosa si trasformi la vita di Adela. Perché nelle lettere mai spedite al
Poeta e scritte dopo il ritorno da quel luogo da cui in realtà non si ritorna,
Adela è reticente. Dice, ma non tutto. Non dice il peggio. Quello non si può
affrontare. Quello resta dentro come un macigno che trascina sul fondo del
fiume.
C’è un’affermazione seguita da una domanda
che ricorrono come leit motiv lungo tutto il romanzo- profondo eppure lieve,
quasi un ossimoro- di Paola Capriolo. Una frase del principe Mishkin ne
“L’idiota” di Dostojevskij, ‘La bellezza salverà il mondo’. Una frase ambigua
su cui si discute da più di un secolo. ‘Quale bellezza?’, chiede Adela come
altri prima e dopo di lei. Tutto quello che può rappresentare la bellezza, la
bontà, i valori dello spirito, è qualcosa di illusorio. Lo hanno dimostrato le
scelte del Poeta e dell’intera Germania, patria della musica e della poesia.
Un libro molto bello, intenso, che fa pensare. Da non perdere.
la recensione sarà pubblicata su www.wuz.it
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