il libro ritrovato
Elizabeth von Arnim, “Il circolo delle
ingrate”
Ed.
Bollati Boringhieri, trad. Simona Garavelli, pagg. 393, Euro 17,50
Impagabile Elizabeth von Arnim.
Deliziosa von Arnim. Intelligente e squisita. E’ un piacere da pregustare,
leggere ogni suo libro ristampato da Bollati Borlinghieri. L’ultimo, poi, “Il
circolo delle ingrate” è particolarmente frizzante e ironico: fa pensare a Jane
Austen con quel tocco in più di differenza dato dal secolo che separa le due
scrittrici, viene in mente anche- e non stupitevi- Arto Paasilinna, per quello
scherzoso amore del paradosso, dell’improbabile. Un Paasilinna meno crudo, meno
selvaggio, ingentilito dalla dolcezza femminile della von Arnim.
Anna Estcourt ha venticinque anni. I
genitori sono morti presto e lei, dall’età di dieci anni, vive con il fratello
maggiore che ha sposato una donna ricca. Era stato un matrimonio equo: l’uomo
ci aveva messo il nome, la donna i soldi. E pazienza se non era bella e non era
fine. E’ così che gira il mondo. Ora però la cognata Susie non vede l’ora di
sbarazzarsi di Anna: perché mai non si sposa Anna che è così bella? Sembra
facile ma non lo è. Essendo priva di mezzi Anna può sposare solo un uomo che ne
abbia (la stessa situazione che abbiamo visto nei romanzi di Jane Austen). Il
problema è trovare un uomo che abbia soldi e
fascino a sufficienza da far innamorare Anna che, invece, rifiuta tutti i
pretendenti. Quello che Anna vuole è essere indipendente: sposarsi, però, non
vuol dire essere indipendenti, giusto? Significa solo dipendere da qualcun
altro che non sia il fratello o la cognata. Poi, il colpo di fortuna, uno di
quelli che si verificano solo nei romanzi. Lo zio tedesco, fratello di sua
madre, lascia in eredità ad Anna una piccola tenuta in Pomerania. E Anna parte,
accompagnata dalla cognata (che fuggirà subito da quel luogo sperduto abitato
da gente barbara che parla una lingua incomprensibile), dalla nipotina e dalla
governante di questa. Dapprima titubante e con il programma di rientrare presto
in Inghilterra, Anna si innamora del luogo, del cielo terso e ventoso. E’
inebriata dalla possibilità di libertà e concepisce un sogno generoso e
utopistico di cui chiunque con i piedi sulla terra scorgerebbe la follia:
ospitare dodici donne indigenti nella grande casa, farle vivere lì come amiche
fondando quasi una società di uguali in cui avrebbero condiviso tutto. Anna
voleva che altre donne avessero una possibilità di felicità, come l’aveva avuta
lei.
A questo punto nasce la commedia, perché
è tutto un gioco di equivoci, il selezionare le aspiranti ospiti che
naturalmente rispondono numerosissime, l’iniziare la vita in comune con le
prime tre donne che arrivano, ognuna con le sue menzogne e con i suoi secondi
fini. Mentre Anna cerca di non lasciarsi sconfortare, quasi che il suo
altruismo e il suo ottimismo potessero incorporarsi nelle altre solo con la sua
forza di pensiero. E c’è anche una storia d’amore, naturalmente, con un uomo di
cui Anna riconosce il valore ma che, tutta presa dalle sue velleità, dapprima
respinge.
Il lieto fine non è del tutto garantito in
questo delizioso romanzo che affronta in maniera scanzonata il tema su cui
hanno riflettuto tutte le scrittrici intelligenti della storia del romanzo: la
condizione delle donne assoggettate ad un uomo, dipendenti da un uomo per poter
condurre una vita decorosa. Peggio ancora: la condizione delle donne che non
hanno neppure il permesso di essere intelligenti e di usare il cervello per non
mettere a rischio la superiorità maschile che deve essere indiscussa.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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