lunedì 15 settembre 2014

Clara Usón, “La figlia” ed. 2013

                                                          Voci da mondi diversi. Penisola iberica        
                                                                la guerra dei Balcani
 il libro ritrovato


Clara Usón, “La figlia”
Ed. Sellerio, trad. Silvia Sichel, pagg. 485, Euro 16,00
Titolo originale, La hija

Si è tolta la vita perché non sopportava il peso dei delitti del padre? Era lei quella coscienza di cui Mladić è privo? “Morire, dormire; nulla più”. Smettere di essere chi era, giacchè non poteva essere diversa... O la sua morte è stato un sacrificio? Sparandosi con la Zastava, stava mandando a suo padre un segnale chiaro: tu sei la ragione per cui non voglio più vivere e con questa pistola che doveva festeggiare la nascita dei miei figli, tuoi nipoti, tolgo la vita anche a loro: quello era il messaggio implicito, che comprendeva anche una preghiera: io devo morire perché altri vivano, perchè tu comprenda il tuo errore e la tua follia e smetta di uccidere, e la finisca con questa guerra.


    ‘Nessuno può scegliersi i genitori, e neppure il popolo a cui appartiene o il tempo in cui vive’. Il padre di Ana è il generale Ratko Mladić, noto come ‘il boia di Srebrenica’, accusato di crimini di guerra dal tribunale internazionale dell’Aja. E l’imprevedibile corso della Storia è responsabile della piega che prendono le vite dei suoi protagonisti. Così, se la Jugoslavia non si fosse sfaldata dopo la morte di Tito, se i croati non avessero voluto l’indipendenza, se Milošević non fosse stato il Presidente della Serbia e Karadžić non avesse creato la repubblica Srpska, Ratko Mladić non sarebbe mai diventato generale, non avrebbe mai ammazzato nessuno, non si sarebbe sentito come dio in terra. E sua figlia Ana non si sarebbe suicidata il 24 marzo 1994. Non avrebbe impugnato per uccidersi la vecchia pistola che significava così tanto per suo padre: diceva sempre che con quella avrebbe sparato in segno di giubilo quando fosse nato il primo nipote con il suo cognome. Ana aveva deciso di chiedere al futuro ipotetico marito di poter dare il cognome del nonno ai suoi figli, perché il suo legame col padre era fortissimo, basti dire che Ratko la chiamava ‘figliolo’, al maschile, intendendo che le voleva talmente bene che era come un figlio maschio per lui. Uccidendosi con quella pistola, Ana lasciava un messaggio al padre: non voleva mettere al mondo i nipoti di un assassino.


    Il libro di Clara Usón - tra romanzo e inchiesta storica - inizia con una scena che si può vedere in un filmato su youtube - il padre, la madre e il fratello al funerale di Ana; il padre vestito di scuro e con un’espressione inebetita; il padre che piange senza ritegno, piegato, anzi accasciato sulla bara. In questo padre che singhiozza c’è il dramma di Ana Mladić: questo è l’uomo che lei conosce, il padre che dice di non mentirle mai, il generale che condivide le durezze della vita dei suoi soldati, l’eroe dei serbi. Dell’altro uomo, dello spietato Ratko Mladić che aveva mandato al fronte il corteggiatore della figlia a lui non gradito, che ordinava di sparare sui civili e di eliminare senza pietà ogni musulmano, che osservava soddisfatto la morte quotidiana di Sarajevo assediata, Ana non sapeva nulla. Ma ognuno di noi è mille persone diverse, come aveva detto Pirandello e come riflette Danilo Papo, il fittizio scrittore di questa storia. Ana era venuta a conoscenza per caso della seconda personalità del padre, durante la settimana passata a Mosca con dei compagni della facoltà di Medicina. Aveva visto dei filmati, aveva sentito uno del gruppo dire, ‘per ogni vita che salverà la dottoressa Ana Mladić, suo padre avrà lasciato dietro di sé migliaia di cadaveri’. Al ritorno a Belgrado, di nascosto, aveva letto i diari di Ratko. Pensava di affrontarlo. Aveva scelto di morire lei stessa con un gesto che fa di lei una tragica eroina, ben diversa dagli eroi a cui Danilo Papo dedica i beffardi capitoli di una ‘galleria’: si incomincia con il principe Lazar (un eroe solo nella leggenda), si prosegue con Slobodan Milošević, Radovan Karadžić e si termina con lui, Ratko Mladić. Gli eroi balcani dei nostri tempi sono tutti annoverati tra i criminali di guerra.

    Una narrativa in terza persona ricostruisce l’ultimo mese della vita di Ana, spruzzato di flash-back e ricordi per aiutarci a capire lo sconvolgimento che questa ragazza, bella e intelligente, vicino alla laurea, deve aver provato nel veder crollare un mito. Un’altra narrativa è quella di Danilo Papo, il personaggio ironico dai capelli di fuoco che si definisce uno ‘straniero’. Perché, che cosa è lui? Ebreo per i serbi per via del padre, ma non per gli ebrei perché sua madre è serba, il miglior portavoce di una terra che è un crogiuolo di etnie. Ci ricorda Leopold Bloom - non a caso suo padre sta scrivendo una tesi sul falso ebreo creato da James Joyce. Danilo si paragona ad Amleto, perché anche lui vorrebbe vendicarsi della morte del padre nell’assedio di Sarajevo, e infine sceglie per sé l’identità di Orazio, l’amico di Amleto la cui missione è di raccontare al mondo quanto è accaduto- la guerra dei Balcani tra il 1991 e il 1995.

Shakespeare, Joyce, i tragici greci, scrittori serbi, straordinari epitaffi su tombe bogomile, Omero (“Canta, o musa, l’ira di Ratko” è l’introduzione al capitolo sull’eccidio di Srebrenica ordinato da Mladić dopo la morte della figlia) - sono molti i riferimenti letterari del pseudo scrittore Danilo. Quello che più ci colpisce, tuttavia, è il racconto “Dopo il ballo” di Tolstoj che pare riassumere il dramma di Ana e di Ratko: un padre dall’aria dimessa che fa un giro di ballo con la splendida figlia, la pupilla dei suoi occhi per cui fa ogni sacrificio; la mattina seguente il padre, in divisa da colonnello, urla senza pietà la punizione per un prigioniero; il corteggiatore si disamora della figlia. Come succede a Danilo.

    La figlia è un romanzo molto bello che, come tutti i romanzi molto belli, ci ‘dà’ tanto, in termini sia letterari sia storici. Ha dei personaggi che giganteggiano sulla scena, nel bene e nel male, e poi non c’è maniera migliore di apprendere la storia che in un romanzo di valore. È anche un romanzo di guerra completo perché esamina ad ampio raggio le ferite di un conflitto: siamo abituati ai caduti sul campo di battaglia, facciamo fatica ad accettare le inermi vittime civili, ci ritraiamo con orrore davanti alle scene di massacri eseguiti con metodi nazisti, ci commuoviamo, infine, per la figlia che, con la sua morte, prende su di sé le colpe del padre.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it




1 commento:

  1. Ancora una recensione perfetta per un libro davvero bello, che ho amato e sofferto.

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