Voci da mondi diversi. Area germanica
cento sfumature di giallo
il libro ritorvato
Wulf Dorn, “Il
superstite”
Ed. Corbaccio, trad. Alessandra Petrelli, pagg. 434, Euro 18,60
Titolo originale: Kalte
Stille
Jan aveva percorso
soltanto pochi metri, quando si fermò di scatto. Dov’era Sven? Per un secondo
aveva creduto di non averlo visto a causa della fitta nevicata, ma la panchina era vuota.
C’era solo il dittafono. Era già coperto da un sottile strato
di neve, come tutta la panchina, tanto che si poteva credere che lì non fosse
mai stato nessuno. Forse anche Sven era andato a fare pipì? Ma in quel caso di
sicuro avrebbe seguito Jan.
Fahlenberg, Germania, gennaio 1985. La
diciottenne Alexandra fugge dalla clinica psichiatrica dove era ricoverata per
forti disturbi mentali. E’ livida dal freddo, indossa una maglietta. L’espressione
del viso mostra terrore. Jan Forstner, dodici anni, seduto sulla panchina
vicino al lago la vede arrivare, vede che si inoltra sulla superficie di
ghiaccio, sa che la lastra è sottile, cerca di fermarla, convincerla a tornare
indietro carponi. Troppo tardi. Si apre una ragnatela nel ghiaccio, la ragazza
cade nell’acqua gelida, Jan le lancia il guinzaglio del cane perché vi si
afferri. Inutile. Alexandra muore.
Questo è solo il primo tragico avvenimento che dà inizio ad
una catena che sembra essere senza fine, che si allunga fino a ventitre anni
dopo, quando Jan ritorna a Fahlenberg, medico psichiatra come suo padre che nel
1985 lavorava alla Waldklinik e aveva in cura Alexandra. La famiglia Forstner
era stata distrutta dalla morte della ragazza. Letteralmente. Perché subito
dopo, in circostanze strane (e agghiaccianti, in senso letterale e non), era
scomparso Sven, il fratellino di sei anni di Jan; suo padre aveva ricevuto una
telefonata, si era precipitato fuori, aveva messo in moto l’auto. Nessuno
sapeva dove stesse andando- di certo la telefonata aveva a che fare con la
scomparsa di Sven. Guidava troppo veloce, era morto in un incidente. Non era
finita qui…
Nel 2008 il
primario della clinica, che era stato amico di suo padre, offre a Jan un posto
di lavoro, ad una condizione: che Jan si metta in terapia con il dottor Rauh,
visto che è stato sospeso dalla professione per disturbi comportamentali. E’
perfettamente comprensibile che Jan abbia un’ossessione- quella di capire che
cosa sia successo quella notte di gennaio del 1985-, e che sia tormentato dal
senso di colpa: se lui non avesse avuto l’idea balzana di andare di notte nel
parco per cercare di captare su registratore la voce della morta Alexandra,
Sven non lo avrebbe seguito, nulla sarebbe successo.
Quello che accade a Jan nel presente induce a pensare che sia
destinato ad essere sfiorato dall’ala della morte. Nell’atmosfera inquietante
della clinica psichiatrica, dove ogni paziente soffre di disturbi mentali
collegati a qualche tipo di trauma, si sussegue una serie di incidenti mortali,
mentre in alcuni capitoli un personaggio senza nome cerca compulsivamente una
compagnia femminile da cui richiede prestazioni piuttosto innocenti ma tese a
far rivivere un determinato ricordo dai contorni sfumati per il lettore. C’è un
crescendo di tensione a mano a mano che la ricerca di Jan, deciso a scavare nel
passato, e non solo sotto l’influenza dell’ipnosi, procede coinvolgendo altre
persone- il padre di Alexandra, l’archivista…Un pericolo oscuro si fa sempre
più minaccioso, fino alla conclusione catartica.
Wulf Dorn è, forse
prima di tutto, uno psichiatra e gli si addice il genere che ha scelto, che
potremmo definire del ‘thriller psichiatrico’. Perché l’originalità dei suoi
romanzi (di questo e del precedente, “La psichiatra”) è nello svolgimento di
un’indagine senza coinvolgere commissari di polizia. C’è sempre una doppia
indagine nei romanzi di Dorn, quella alla ricerca di un colpevole e quella- più
importante ancora- all’interno di menti malate alla ricerca delle motivazioni
che spingono al delitto. E’ chiaro che le due indagini finiscono per
intrecciarsi indissolubilmente, la seconda più interessante della prima, anche
per le conoscenze specifiche dello scrittore. Che tuttavia abusa in maniera un
poco eccessiva, ne “Il superstite”, di comportamenti limite di casi disturbati,
quasi che tutti gli psicopatici o i ‘fuori di testa’ fossero calamitati verso
la Waldklinik. E però Wulf Dorn sa trascinare il lettore, seminando indizi,
fuorviandolo, capovolgendo i sospetti. Lasciandolo con il fermo proposito di non ricorrere mai all’aiuto di uno psichiatra.
la recensione e l'intervista sono state pubblicate su www.wuz.it
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