giovedì 20 aprile 2017

INTERVISTA A WULF DORN, autore di "Il superstite" 2011

                                       voci da mondi diversi. Area germanica
                                    cento sfumature di giallo
           


INTERVISTA A WULF DORN

       Di media altezza, sottile, capelli rossicci, aria giovane: Wulf Dorn non assomiglia affatto a tanti dei turisti tedeschi un poco panciuti che si aggirano nelle città d’arte italiane. Ha una garbatezza e una cordialità fine che mettono immediatamente a proprio agio- mi domando se sono qualità connesse con il suo lavoro di psichiatra. Forse sì. Parla in un ottimo inglese e usiamo questa lingua nell’intervista- si scusa e passa al tedesco solo quando vuole essere sicuro di non venire frainteso, per rispondere alla mia ultima domanda.

Un medico che scrive un romanzo- è più che comune che non un ingegnere, o un economista, o un chimico che scrivano romanzi. Perché, secondo Lei? Oppure, con una domanda più personale, quando ha avuto inizio la Sua passione per la scrittura?
       Non so se sia più comune trovare un medico che scrive un romanzo, non ci ho mai pensato, ma ci possono essere delle spiegazioni: gli ingegneri, ad esempio, lavorano con cose più concrete, hanno a che fare con regole precise e fisse. Nella branchia della salute mentale si tratta di cose più astratte, meno tangibili, ed è possibile, così, che la fantasia venga stimolata.
Ho iniziato a scrivere molto presto- prima di iniziare la vita professionale, la scrittura era il mio hobby. A dodici anni scrivevo racconti dell’orrore, influenzato da Edgar Allan Poe e da Lovecraft. Ho nel cassetto ben cinque romanzi mai pubblicati- sono stati un esercizio per me. Erano romanzi dell’orrore. Il passo verso la scrittura professionista è stato quando ho incominciato a scrivere di quello che conoscevo, quello che era vicino all’animo umano- certo, il thriller è vicino al romanzo horror, ma è un tipo di orrore più realistico.

Il suo lavoro occupa molto spazio nei suoi romanzi: quanto ha influenzato la sua decisione di scrivere un certo tipo di romanzi?

     Ho sempre avuto un grande interesse per le persone. In quello che scrivo sono i personaggi e le loro vite ad avere un ruolo importante nelle storie raccontate. Mi domando costantemente perché un personaggio si comporti in una certa maniera e quali aspetti psichiatrici io possa impiegare. Il lavoro mi è di grande aiuto: imparo molto sulla psiche umana lavorando con i pazienti, anche se, per rispetto del segreto professionale, non scrivo mai nulla che abbia a che fare con dei casi reali. Certamente, però, i casi di cui scrivo potrebbero essere veri- faccio anche delle ricerche. E poi il mio lavoro mi ha aiutato a dare uno sfondo realistico ai romanzi- la clinica, il lavoro quotidiano nella clinica…

Mi ha appena detto che non scrive mai nulla dei casi veri che le si presentano. Ma penso che forse può unire caratteristiche di casi diversi che le si presentano, ispirarsi a pazienti diversi che ha incontrato…
     La prima cosa che faccio, quando inizio a scrivere un romanzo, è pensare al personaggio da mettere nella storia, come svilupparlo. Quando sviluppo l’idea del personaggio, è come un iceberg di cui si vede solo una punta: nelle mie idee, nei miei appunti, ci sono tante cose che servono da sfondo, da base nascosta, che mi serve per sapere come il personaggio si comporterebbe. A volte discuto con dei colleghi sui miei casi fittizi, se presentano aspetti disturbanti, oppure leggo e mi documento per sapere se quello che scrivo sia possibile.  Il più bel complimento l’ho ricevuto dal mio capo, professore di psichiatria da anni, che mi  ha detto di aver letto il mio romanzo e aver trovato che ‘funzionava’. Quando ha iniziato a parlare, dicendomi di aver letto il mio libro, mi sono venuti i brividi, per la paura del suo giudizio che avrebbe coinvolto entrambe le mie professioni.

Leggendo il suo romanzo viene in mente il detto che ‘non tutti i matti sono fuori dal manicomio’. E’ così, secondo la sua esperienza?
    Sì, certamente sì. Basta sedersi fuori da un caffè e osservare la gente. Ognuno ha un lato oscuro: vedi la gente che ride e sai che è solo una parte di loro, che tutti hanno un lato buio. La maggior parte delle persone sa come nasconderlo, ma non tutti ne sono capaci o ne hanno la forza. Non tutti riescono ad ergere un muro di difesa e allora il lato oscuro esce fuori. E’ il lato della personalità di cui vanno in cerca gli scrittori di thriller.


L’ipnosi entra nel suo romanzo, come pure nel romanzo “L’ipnotista” della coppia di scrittori svedesi che si firmano con lo pseudonimo di Lars Kepler. E’ una terapia diffusa comunemente? Si è dibattuto sulla sua legalità in Germania? Non sono certa che sia legale in Italia e di sicuro non è molto praticata da noi…
     Vorrei mettere in chiaro prime di tutto che l’ipnosi non ha niente a che fare con la possibilità di rompere la libera volontà delle persone, facendole agire come non agirebbero di per sé. E’ un clichè sull’ipnosi, quello di persone che fanno cose perché sono influenzate dall’ipnotista. Bisogna dimenticare quello che film e letteratura ti fanno credere sull’ipnosi.
L’ipnosi aiuta a scavare nelle regioni della psiche che sono nascoste, aiuta le persone che hanno avuto un trauma e hanno rimosso, che cercano uno scudo di difesa e bisogna cercare una chiave per entrare in questa loro parte nascosta. L’ipnosi è uno strumento utile per recuperare e rielaborare vecchi fatti di vita. In questo senso in Germania l’uso dell’ipnosi non è mai stato in discussione. Lo è stato il suo uso più spettacolare, quello che si vede alle feste o in televisione, quando ti fanno fare cose strane e poi non ricordi nulla. Ci sono stati casi di persone che, per un risveglio troppo brusco dallo stato di ipnosi, sono morte. Ma nel vero senso della medicina l’ipnosi è una buona terapia che funziona e dà risultati positivi. Io stesso ho sperimentato l’ipnosi con un collega: è stato stupefacente ricordare cose che avevo dimenticato, cose della mia primissima infanzia, rivedere dettagli, come l’intera stanza dei miei genitori, che erano scomparsi dalla mia memoria. E’ stata un’esperienza molto bella.

Nel mio romanzo si vede anche che l’ipnosi può essere una terapia pericolosa: è vero, combinata con delle medicine può essere molto pericolosa con orribili conseguenze, perché spegne la volontà dell’individuo. Ma normalmente non vengono usati medicinali nella terapia dell’ipnosi.

l'intervista e la recensione sono state pubblicate su www.wuz.it


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