martedì 11 aprile 2017

Uzma Aslam Khan, “Mehwish parla al sole” ed. 2010

                                                         Voci da mondi diversi. Asia
                                                              il libro ritrovato

Uzma Aslam Khan, “Mehwish parla al sole”
Ed. Neri Pozza, trad. Norman Gobetti, pagg. 382, Euro 18,00

   Il Pakistan del generale Zia che ha proclamato la legge marziale per bandire ogni oscenità. Tre personaggi che raccontano a turno, in prima persona: le due sorelle Amal e Mehwish, e Noman, un giovane che studia matematica e che diventerà lo strumento del Partito della Creazione per incriminare il nonno delle due ragazze. Perché l’anziano Zahoor è un archeologo che cerca le prove per dimostrare che la balena di oggi deriva da un mammifero terrestre del Medio Eocene, e questo è inaccettabile per gli islamici che interpretano il Corano alla lettera. Ed è Zahoor la figura emblematica centrale del romanzo, ammirato, quasi venerato da alcuni e oltraggiato da altri.
    La giovane scrittrice pakistana Uzma Aslam Khan ha avuto un’idea brillante per scrivere dell’oscurantismo degli estremisti islamici: riportare Darwin sulla scena, spostare nel Pakistan moderno le disquisizioni sulle teorie evoluzionistiche di Darwin che tanto fecero scandalo nell’Inghilterra e nell’Europa dell’800. Allora e là era la Bibbia il testo sacro di riferimento. Adesso e nell’Islam è il Corano. Ma non cambia nulla, a quasi due secoli di distanza. E, dei quattro personaggi, due, Zahoor e la nipote Amal, sono troppo liberi di mente per non restare vittime del regime, e gli altri due sono troppo deboli, anche se in maniera diversa, per sottrarsi al ruolo di vittime.

      Le pagine iniziali del romanzo sono di forte impatto: è Amal a parlare, di quando aveva otto anni e aveva imparato a fare da guida alla sorellina cieca Mehwish. “Era diventata cieca lo stesso giorno in cui io avevo trovato il cranio”: Amal non lo sa, ma giustapporre questi due eventi è un’anticipazione del contrasto di pensiero che si svilupperà poi lungo tutto il libro. La cecità di Mehwish, di appena un anno, era stata attribuita ad un colpo di sole, mentre la piccola si trovava con il padre che ispezionava una cava di pietra. Ed era stata interpretata come una punizione divina per le colpe degli altri membri della famiglia- il nonno Zahoor che aveva portato con sé Amal nell’area rocciosa dove la nipotina aveva trovato il sasso che era invece parte di un mammifero estinto. Scienza e religione- il duello è impari quando la religione ha dalla sua le forze governative.

La posizione di Noman è più ambigua. Noman è quello che dice, “Dio ha lasciato questo paese”; Noman vede la realtà in numeri, ha il genio della matematica, eppure non riesce a sottrarsi all’imperativo del padre, vicesegretario del Partito della Creazione, che, nella sua ossessione di purezza religiosa, lo incarica di controllare lo scienziato darwiniano. Noman, con un nome che significa ‘nessuno’ e quindi tutti, è il traditore dalla doppia faccia, tormentato come Giuda, perché lui, in realtà, ammira Zahoor e finirà anche per innamorarsi di Mehwish. La dolce Mehwish, buffa Mehwish con la sua abitudine di spezzare le parole e di ricreare il linguaggio, visto che è la sua unica arma per interpretare il mondo. Le pagine di Mehwish sono forse le più belle di tutto il libro, così come il legame d’amore tra le due sorelle è di una toccante tenerezza, in netto contrasto con quello tra Amal e l’uomo che sposerà: qui l’erotismo è forzatamente accentuato, a sottolineare le distorsioni ipocrite del rapporto uomo-donna secondo la sharia.

     Ci sarà un processo contro Zahoor, ci saranno ripensamenti, ci sarà un dramma finale in questo romanzo che sfugge agli stereotipi e, pur peccando di una caduta centrale di tensione, è una bella lettura intelligente.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net


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