mercoledì 5 aprile 2017

Sarah Waters, “Ladra” ed. 2003

                            Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
     il libro ritrovato

Sarah Waters, “Ladra”
 Ed. Neri Pozza, trad. Fabrizio Ascari, pagg. 510, Euro 18,00

   Londra 1861, l’anno in cui morì il Principe Alberto, marito amatissimo della regina Vittoria che, da quel momento, non smise mai di indossare gli abiti neri da lutto. Una Londra che è ancora divisa nettamente in due parti, quella sulla riva sinistra del Tamigi, la città dei ricchi, dove si trovano il Palazzo del Parlamento e le cattedrali di Westminster e di St.Paul’s, e quella squallidissima e povera sulla riva a sud, ricettacolo di ladri, prostitute, furfanti, dove si ammazza per due soldi e l’impiccagione dell’assassino è uno spettacolo per una folla di straccioni. Una Londra su cui pesa sempre una cappa di nebbia, perché non c’è ancora nessuna legge contro l’inquinamento e l’unico combustibile è il carbone, la Londra di Jack lo Squartatore e dei romanzi di Dickens. Ed è proprio ad un romanzo di Dickens che ci fa pensare, il libro della scrittrice inglese Sarah Waters, soprattutto nelle pagine iniziali, in cui Susan racconta della sua vita, orfana di una mamma che è stata impiccata, cresciuta nella casa della signora Sucksby insieme ad altri bambini che la materna signora ospita, in attesa di venderli.
Si bussa in codice, alla porta di questa casa, perché lì vive anche un tal signor Ibbs, addestratore di ladri, ricettatore di merce rubata. Non è un caso che la piccola Susan assista ad una rappresentazione di “Oliver Twist”, il romanzo di Dickens del 1838, la storia di un orfano che viene accolto in una scuola di ladri e che scopre le sue vere origini alla fine. Perché l’abilità di Sarah Waters è nella consapevolezza con cui usa un’ambientazione e una trama ottocentesche, contaminandole con un celato erotismo da romanzo del settecento, e aggiungendo un’apertura verso un legame lesbico tipica del ‘900. Sono due le orfanelle protagoniste, perché la controparte di Susan è Maud, nata nel manicomio in cui era ricoverata la madre e cresciuta con lo zio, un bibliofilo stravagante. Ma se Susan si fa grande mantenendo una certa ingenuità, protetta in quel covo di ladri dalla signora Sucksby (e sapremo poi il perché), nella magione dello zio Maud deve imparare a leggere ad alta voce con un soave tono neutro, e per questo più eccitante, le pagine lascive della letteratura che lo zio ama collezionare. La trama si fa intricata, come è d’obbligo nei romanzi dell’800: Susan diventa la cameriera di Maud, acconsentendo a fare da complice all’uomo che intende sposare la ricca ereditiera per poi sbarazzarsi di lei chiudendola in manicomio e facendole fare la fine della madre.
Ma ci sono dei colpi di scena, rovesciamenti di sorte, verità svelate, fughe a piedi nella verde campagna inglese per ritornare verso Londra che appare “dove la luce cedeva il posto a una sorta di caligine squarciata qua e là dallo scintillio delle punte dorate di cupole e guglie investite dai raggi del sole”, in una descrizione intenzionalmente simile a quella di Oxford sfumata nei colori del tramonto, meta agognata di Jude nel romanzo di Thomas Hardy. La fine di questo romanzo ricco di personaggi e di storie, raccontato dalle voci delle due ragazze che sembrano smentirsi l’una con l’altra, è nella grande casa di campagna, fredda, buia e minacciosa quando lo zio di Maud era in vita, oasi di serenità ora che le ragazze vi vivranno insieme- da amanti, scomparsi tutti i negativi personaggi maschili.

la recensione è stata pubblicata sulla rivista letteraria Stilos.



              

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