sabato 8 ottobre 2022

Zeruya Shalev, “Stupore” ed. 2022

                                                               Voci da mondi diversi. Israele

    la Storia nel romanzo
   love story

Zeruya Shalev, “Stupore”

Ed. Feltrinelli, trad. Elena Loewenthal, pagg. 320, Euro 19,00

 

      Non ci stupisce più lo stile narrativo di Zeruya Shalev- una Virginia Woolf israeliana, un flusso di coscienza facile da seguire, più simile a quello della scrittrice inglese che a quello dell’autore di “Ulisse”. È uno stile che le permette di passare con leggerezza da dialoghi riportati a riflessioni dell’uno o dell’altro protagonista, a descrizioni dell’ambiente in cui la scena si sta svolgendo. Quello che importa alla scrittrice, tuttavia, è esplorare la mente delle donne che sono i personaggi principali dei suoi romanzi, portando in superficie ricordi del passato che vanno a formare la realtà del presente.

    Atara e Rachel. Una donna di cinquant’anni e una che ha superato i novanta e che non si conoscono, non sanno quale sia il legame tra di loro. Atara, il cui nome significa ‘corona’ ma non ha idea che deve questo nome ad un’altra Atara, morta a vent’anni, e Rachel, che non piange i suoi figli (come dice il profeta Geremia) ma l’uomo che ha amato, il ragazzo che è stato il suo primo marito e che l’ha lasciata, all’improvviso, senza spiegazioni.

   L’ultima volta che Atara aveva visto suo padre (un famoso professore e studioso), lui stava già malissimo, non l’aveva riconosciuta, l’aveva chiamata Rachel, “vattene se vuoi restare viva”, le aveva detto. Ecco come Atara aveva saputo che suo padre era già stato sposato. Aveva fatto delle ricerche, aveva incontrato Rachel per caso a teatro, sarebbe andata a trovarla.


   Un capitolo per Atara e uno per Rachel. Uno per la vita di una e uno per la vita dell’altra. Una porta chiusa davanti a Rachel che, in passato, chiede invano alla madre del marito di farla entrare e parlare con lui, e una porta chiusa davanti ad Atara, perché Rachel è stata presa dalla paura di disseppellire i ricordi lasciando entrare Atara. Ma solo Rachel ormai può dire ad Atara perché suo padre l’ha chiamata così. È lei che possiede la memoria degli anni che precedettero la fondazione dello stato di Israele, lei che faceva parte della Lehi, l’organizzazione paramilitare di matrice sionista che operò durante il mandato britannico della Palestina. E allora i suoi ricordi intrecciano vicende di attentati, di esplosioni, di fughe, di nascondigli, di giorni passati in carcere con altre storie che sembrano essere meno rilevanti per lei, perché un poco aveva finito di vivere, emotivamente, dopo che l’amore della sua giovinezza era scomparso, anche se si era risposata e aveva avuto due figli. Ma aveva dovuto promettere al nuovo marito che non avrebbe mai parlato con nessuno dell’altro, di quello che sarebbe diventato il padre di Atara.


     Un padre duro con lei, Atara, e non con sua sorella. È la figura paterna che incide sulla scelta dei compagni di vita di una figlia? Comunque Atara aveva fatto delle scelte, giuste o sbagliate, che avevano fatto soffrire lei stessa e chi le era vicino. Era come se dovesse espiare di continuo per aver preso certe decisioni che non poteva fare a meno di prendere.

    Quando tutto è venuto alla luce, dopo che Atara si confronta con un’altra morte e con una decisione da parte del figlio che la stupisce e che contribuisce ad avvicinarla a Rachel, il cerchio si chiude con le parole di suo padre prima di morire, quando aveva scambiato la figlia per la prima moglie, “perdonami, Rachel, tutto quel che è mio è tuo, tutto quel che non ho è tuo”.

     “Stupore” è un libro potente per la forza delle emozioni che contiene e che ci comunica, per saper unire la Storia travagliata di un paese con quella, altrettanto travagliata pur se in tono di diversa drammaticità, dei personaggi, anche se a volte ci stanchiamo dell’andamento dei pensieri che sembrano arrotolarsi su se stessi, in apparenza ripetendosi nei continui cambiamenti.

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