Voci da mondi diversi. Paesi Bassi
seconda guerra mondiale
Willem Frederik Hermans, “La camera oscura di Damocle”
Ed.
Iperborea, trad. Claudia Di Palermo, pagg. 445, Euro 19,50
Henri Ousewoudt era un bambino quando,
appena ritornato da scuola, era stato immediatamente accompagnato a casa dello
zio- sua madre aveva ucciso suo padre. Era diventato grande con gli zii e aveva
finito per sposarne la figlia, sua cugina, più vecchia di lui e brutta per di
più. Non che lui, Henri fosse bello. Piccolo di statura (era stato scartato al
servizio di leva), naso minuscolo, mento sfuggente, nessuna traccia di barba,
pelle liscia come il culetto di un bambino, capelli sottili e biondi, voce
acuta. Henri, spesso ridicolizzato per il suo aspetto, potrebbe passare per una
donna e infatti, quando, per fuggire, dovrà vestirsi da suora, più avanti nel
libro e in quella che forse è l’unica scena comica del romanzo, il suo
travestimento sarà così credibile da attirare le avances di un ufficiale tedesco.
Nel maggio 1940 i tedeschi invadono l’Olanda
e un uomo in divisa olandese entra nella tabaccheria che ora Henri gestisce al posto
del padre. Da questo momento la sorte di Osewoudt sarà legata a quella di
Dorbeck, il misterioso ufficiale. Non sono solo i loro nomi ad assomigliarsi
con quella doppia consonante finale, sono proprio identici anche se Dorbeck ha
i capelli neri e un’ombra di barba sulla faccia. Sono l’uno il doppelgänger
dell’altro, come il negativo e il positivo di una pellicola.
Il paragone è quanto mai adeguato perché il tema della pellicola, di fotogrammi stampati, usati come segnale di riconoscimento, andati smarriti, passati di mano da olandesi che lottano per la resistenza ai tedeschi, è un leit-motiv di tutto il romanzo, considerato come il capolavoro di uno dei più grandi scrittori olandesi.
Tutto
inizia da questo incontro, dunque, quando Dorbeck affida un rullino da
sviluppare a Osewoudt. Anche il rullino è misterioso, perché la pellicola è
interamente nera: è Osewoudt che ha commesso un errore nello sviluppo oppure
non c’era proprio nessuna immagine? In pratica Osewoudt, il pallido e pavido
Osewoudt che ha sempre scelto e sempre sceglierà la via più facile, viene
arruolato nella resistenza. Nell’eseguire gli ordini Osewoudt è bravo. Non fa
domande, obbedisce. Gli dicono di recarsi ad un certo indirizzo e uccidere le
persone che troverà in casa? E lui lo fa. Deve andare con una ragazza a
prelevare un bambino in una fattoria isolata e ammazzare il collaborazionista
che è il padre del bambino? Osewoudt non fa domande, esegue e ci scappa qualche
morto in più per sicurezza.
Intanto Dorbeck è scomparso. Quando, al cinema, compare sullo schermo l’immagine di un uomo ricercato e su cui c’è una taglia, Osewoudt, che è tra gli spettatori, scappa. Cercano lui, Osewoudt, ma quello sullo schermo era Dorbeck, anche se ormai Osewoudt si è fatto tingere i capelli di nero ed è ancora più somigliante. Morti ammazzati, fughe, arresti, interrogatori e torture, un ufficiale tedesco che aiuta sia lui sia la ragazza ebrea che aspetta un figlio da lui (perché?), un medico che lo salva facendolo fuggire dall’ospedale (perché?) e poi la guerra è finita e Osewoudt viene nuovamente arrestato e accusato di avere tradito, di essere stato un collaborazionista. Solo la testimonianza di Dorbeck potrebbe scagionarlo. Ma Dorbeck non si trova.
La narrazione è in terza persona, ma è
sempre il punto di vista del protagonista che noi leggiamo, tanto che a volte
abbiamo l’impressione che sia un monologo interiore. E, come accade in questi
casi, non sappiamo quanto sia affidabile la voce che sentiamo. Perché i fatti
sono ingarbugliati, le persone cambiano nome per non essere riconosciute, e
poi, esiste veramente Dorbeck o c’è in Osewoudt una traccia della follia di sua
madre? È uno psicopatico che ha inventato un doppio per se stesso? E
soprattutto, è un eroe o è un criminale?
“La camera oscura di Damocle” è un romanzo
terribile sulla seconda guerra mondiale, senza apparire tale, ma piuttosto un
thriller o un libro di spionaggio. Terribile perché riflette le ambiguità
dell’atmosfera del tempo, dove la linea di confine tra bene e male è sottile,
dove tutto è permesso, anche uccidere.
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