Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
Ed.
Neri Pozza, trad. maddalena Togliani, pagg.260, Euro 18,00
South Dakota. Badlands. 1917. La data, che
per noi europei dice tanto, non ha altrettanto peso nel romanzo di Ann
Weisgarber. Ad un certo punto un personaggio va ad arruolarsi, dicendo che
‘darà una lezione a quelli là’, ma la guerra è un evento lontano, i
protagonisti hanno ben altre preoccupazioni.
Il nome, Badlands, già dice tutto. Una
terra ostile, vaste distese in cui l’abitante più vicino è a miglia di
distanza, una vita che è fatta di lavoro, lavoro e ancora lavoro, tra mille
asperità.
Eppure
Rachel era stata felice di seguire Isaac DuPree nelle Badlands. Rachel viveva a
Chicago, vicino alla puzza dei mattatoi, e faceva la cuoca nella pensione della
madre di Isaac. Quando questi era tornato dopo aver servito nell’esercito,
Rachel se ne era innamorata. Non lui di lei, però. E la madre di Isaac aveva
fatto fuoco e fiamme quando aveva saputo che si sarebbero sposati e aveva
troncato ogni rapporto con loro.
Era stato amore per la terra che aveva spinto Isaac a sposare Rachel, non amore per lei. Sì, la Terra con la T maiuscola. Il governo dava la terra a chi la chiedeva e, se erano in due a chiederla, l’estensione sarebbe stata doppia. Isaac vedeva campi coltivati a frumento, bestiame, guadagni con cui avrebbe comprato altra terra e altro bestiame. E Rachel lo aveva ricattato. Avrebbero messo insieme le loro terre, ma lui doveva sposarla. E così era stato. Un matrimonio a termine, secondo i patti iniziali, e invece durava da quattordici anni quando Rachel prende la parola.
C’è stata una siccità terribile e
l’episodio iniziale ci dà l’idea traumatizzante di quello che la famiglia
DuPree deve aver passato. Hanno cinque figli, i Dupree, altri due sono morti,
Rachel è incinta e i bambini aiutano, fanno lavori più grandi di loro. Per
scendere nel pozzo e riempire di acqua il secchio la scelta obbligata è caduta sulla
piccola Liz, perché è minuta e non resterà incastrata. Parecchi elementi
concorrono a rendere cruciale questa scena, a farne un punto di volta. Alle
spalle i DuPree hanno mesi senza pioggia, razionando l’acqua da bere, senza
potersi lavare, con i campi aridi e il bestiame che muore. Davanti a loro c’è
l’incertezza del futuro- mancano le provviste per dar da mangiare ai bambini,
non ci sono soldi, è rimasta un’unica mucca scheletrica che dovrebbe dare
latte. E adesso c’è questa impresa disperata, con Liz terrorizzata, del buio,
della profondità del pozzo, della serpe che l’aspetta in fondo, con Rachel che
si sente in colpa per sottoporre la bambina a questo compito.
Rachel racconta la loro vita di unici neri nella zona (anzi, di negri, perché questa era la parola usata allora), dell’entusiasmo iniziale, del suo amore per Isaac e del dolore per la morte dei figli appena nati. Quando, nella solitudine di quella terra sterminata, passa da loro una donna indiana con la figlia, Rachel la invita a salire sulla veranda e le offre un tè. Anche questo sarà un episodio chiave- Isaac odia gli indiani (ha combattuto a Wounded Knee) e si arrabbierà, Rachel ricorderà una donna indiana che era venuta alla fattoria tanti anni prima, con un bambino mezzo sangue. Il ricordo, che porta con sé un dubbio, non la lascerà più e ci sarà il giorno in cui la squaw a cui lei ha offerto il tè le salverà la vita.
“Il coraggio di Rachel Dupree” ci fa conoscere un’altra America- mezzo
secolo è passato dalla guerra civile, i neri hanno l’opportunità di fare
fortuna, in loro non c’è più la servilità dello zio Tom e, per motivi diversi,
sia Isaac sia Rachel sono personaggi da ammirare. Soprattutto per la loro
determinazione, la forza nell’ affrontare le difficoltà e resistere ai colpi
della fortuna. E Rachel, poi, per la capacità di amare e di scegliere chi, tra
il marito e i figli, abbia più bisogno del suo amore.
Un libro molto bello.
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