Casa Nostra. Qui Italia
Ed.
Sellerio, pagg. 230, Euro 14,00
C’era una copia della “Spoon River anthology”
nella borsa di Annalisa Bufacchi, hostess a bordo del DC9 del volo Roma-Palermo
che precipitò in mare la notte del 23 dicembre 1978. Uno strano presagio che
stesse leggendo proprio ‘quel’ libro di elegie per i morti del cimitero di
Spoon River. E “Notizia del disastro” di Roberto Alajmo è una Spoon River di
Punta Raisi in cui il cimitero è il mare, una raccolta di storie che fanno
passare davanti agli occhi della nostra mente i centoventinove passeggeri dell’aereo-
solo ventuno i sopravvissuti.
Ci sono tutti i nomi nelle prime due pagine
del libro. Perché un conto è dire “centoventinove”, con la freddezza di un
numero, e un conto è elencarli tutti e 129, con nome e cognome. Chi ha un nome
e un cognome ha un vissuto alle spalle e un non-vissuto davanti a sé.
23 dicembre: mancavano due giorni a Natale, c’era ressa all’aeroporto di Roma, di certo overbooking in un’epoca in cui l’acquisto dei biglietti non era ancora fissato in regole fisse e non era neppure necessario dare un nome e cognome che coincidesse con quello della carta di identità. Erano in tanti che tornavano in Sicilia, a casa, per passare le feste con la famiglia. Genitori, mogli, figli, fidanzate erano in attesa all’aeroporto di Palermo. Ci sarebbero stati due voli straordinari. E qui entra in gioco il destino.
La meccanica dell’incidente- sempre rimasta
oscura- si basa sulle poche testimonianze dei sopravvissuti. L’aereo stava
scendendo, al primo urto avevano pensato che fosse il carrello che toccava la
pista, poi il secondo, poi…la fine del mondo. Si erano ritrovati in acqua,
molti ancora agganciati ai sedili, si vedevano luci di pescherecci, il mare era
coperto da uno strato oleoso di kerosene.
Di uno dopo l’altro, in questa Spoon River di Punta Raisi, leggiamo la storia- da dove veniva, perché, chi lo aspettava, che cosa era in attesa nel ‘dopo’ dei fortunati che si erano salvati, quale ruolo avesse avuto il destino per lui o per lei. Già, il destino. Perché c’era chi su quell’aereo proprio non ci doveva essere, o perché sarebbe dovuto partire con il volo precedente o perché aveva fatto di tutto per salire a bordo, per guadagnare un giorno. E così pure il contrario, come la ragazza che aveva trovato tutti i posti occupati ed era stata fatta scendere, anche se i suoi bagagli erano stati caricati in stiva. Li avrebbe trovati a Palermo. Non li avrebbe più visti. C’era chi era doppiamente miracolato perché sarebbe dovuto essere sul volo che nel 1972 si era schiantato contro la Montagna Longa ed ora aveva ingannato la morte una seconda volta. E c’era chi aveva solo raccontato di essere scampato- e invece era arrivato sul volo seguente ma non voleva dire alla moglie di essere stato a Roma e voleva invece godersi un poco di gloria. Non c’era voluto molto per smascherarlo, perché andava dicendo che si era salvato e aveva gli abiti asciutti perché aveva preso lo scivolo che lo aveva depositato in una scialuppa di salvataggio.
Dei
bambini che erano a bordo non ne scampò nessuno. Ci furono atti di eroismo e
atti di egoismo, come sempre accade in questi casi. E nelle storie che
leggiamo, nella lunga carrellata di nomi, ci sono anche quelli dei dispersi,
c’è il racconto del dramma vissuto dalle famiglie in attesa spasmodica che i
corpi venissero ripescati per poter dare loro una sepoltura. Riposino in pace
tutti, quelli ripescati (irriconoscibili) e quelli che hanno trovato in mare la
loro tomba.
La Spoon River di punta Raisi è in prosa,
naturalmente, ma tocca le corde del nostro cuore come può fare la poesia, per
la commozione che suscita, per l’insondabile mistero del fato che aleggia su
ogni pagina.
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