Voci da mondi diversi. Canada
Margaret Laurence, “L’angelo di pietra”
Ed.
Nutrimenti, trad. Chiara Vatteroni, pagg. 301, Euro 18,00
Non so come sia stato possibile che mi sia
sfuggito questo libro bellissimo, pubblicato nel 2011. L’autrice, Margaret
Laurence, nata nel 1926 e morta nel 1987, è la più grande scrittrice canadese
secondo Margaret Atwood, altra grandissima scrittrice canadese, e “L’angelo di
pietra”, primo romanzo di una trilogia ambientata in una fittizia cittadina del
Manitoba, Manawaka, è stato per anni studiato nelle scuole superiori del
Canada. Il libro fu pubblicato per la prima volta nel 1964 quando lei, Margaret
Laurence, aveva solo 38 anni. Non ci stupisce che a 38 anni avesse già scritto
un libro che avrebbe avuto grande risonanza, ma che, ad una età relativamente
giovane, abbia saputo dare voce- e che voce- ad un personaggio indimenticabile
che di anni ne ha novanta.
Hagar Shipley, nata Currie, vive in casa con il figlio maggiore e la nuora. La casa, però, è sua e lei non accetta che il figlio possa anche solo pensare di farla ricoverare in una casa di cura per anziani. Perché quello che in realtà lei non accetta è di essere vecchia, di aver bisogno di aiuto. Mai riconoscerebbe di essere caduta, o di vagare di notte, o di bagnare le lenzuola. Sono tutte cose che ‘loro’ si inventano. È Hagar a parlare, alternando racconti del presente e del passato.
La voce del presente è combattiva, fiera, orgogliosa, autoironica- e ci mette addosso una grande tristezza perché dietro a questa resilienza noi intravvediamo la sua fragilità, perché sentiamo i passi felpati della morte che si avvicina, nascosta dalle visite mediche e dai raggi X a cui Hagar si sottomette brontolando e pensando che siano solo accertamenti di routine. Hagar che, con un inganno, viene portata a visitare la casa per anziani, Hagar che punta i piedi e si oppone alla vendita della casa, Hagar che fugge, quasi fosse un’adolescente che scappa di casa in piena ribellione contro i genitori. E i pericoli in agguato ad una novantenne che fugge di casa sono diversi ma altrettanto gravi di quelli che può aspettarsi una sedicenne. A proposito- è proprio con una sedicenne che Hagar condividerà una stanza in ospedale e l’arco della vita è riassunto in questa fuggevole conoscenza. La ragazzina è lì per un banale intervento per appendicite e Hagar la rassicura, anzi, è Hagar che le sarà di aiuto, scendendo a fatica dal letto, quando nessuna infermiera accorre alla loro chiamata. Una uscirà dall’ospedale per andare incontro alla vita, l’altra uscirà dopo aver incontrato la morte.
dal film |
Il racconto del passato si alterna in un
perfetto equilibrio- veniamo a sapere tutto di Hagar, del padre scozzese che si
era guadagnato un discreto benessere, della madre morta dandola alla luce, dei
due fratelli, degli anni di studio che avevano fatto di Hagar una ‘signorina’ e
poi di quel matrimonio con un uomo rozzo e volgare per cui il padre l’aveva
diseredata, la nascita dei due figli. Hagar non avrebbe mai immaginato quanto
avrebbe dovuto lavorare. Non avrebbe neppure immaginato- e non voleva pensarci,
non voleva riconoscerlo- quanto avrebbe goduto degli amplessi violenti del marito.
Deve passare tutta una vita prima che Hagar acquisti la consapevolezza di dove abbia sbagliato, dove l’abbia portata l’orgoglio. Quanta infelicità, quante tragedie. Una perdita, soprattutto, per cui ancora adesso soffre indicibilmente.
Eppure questo libro in cui la morte aleggia
in ogni pagina è un inno alla vita. Quell’angelo di pietra che stende le sue
ali protettrici sulla tomba dei Currie, sbeffeggiato con il rossetto, scalzato
dal suo piedistallo e rimesso al suo posto sulla tomba che ora- per volontà
della stessa Hagar- reca incisi entrambi i cognomi, Currey e Shipley, è una
presenza che non possiamo trascurare, un memento costante di quanto ci aspetta
che tuttavia ci rasserena, ci rassicura- l’angelo di pietra sarà sempre lì, a
vegliare i genitori di Hagar, suo marito, suo figlio, anche lei infine, per
quanto lei resista e combatta per succhiare la vita fino in fondo.
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