vento del Nord
saga
Elisabeth Åsbrink, “Abbandono”
Ed.
Iperborea, trad. Alessandra Scali, pagg.312, Euro 18,50
All’inizio
avevo pensato di intitolare questo libro semplicemente Solitudine.
Leggendo il nuovo romanzo- ‘romanzo-verità’ o saga familiare, lo
definisce la scrittrice- di Elisabeth Åsbrink, pensiamo che sì, entrambi i
titoli sono giusti.
“Abbandono”
che si può interpretare sia nella forma attiva sia in quella passiva-
abbandonare ed essere abbandonato- e “Solitudine” perché il libro che
ricostruisce le loro vite è una ricerca dentro la loro solitudine- quella della
scrittrice, di sua madre, di sua nonna, di suo nonno infine, che lei non aveva
mai conosciuto. Per cercare di capire la propria, Elisabeth Åsbrink deve capire
la loro, risalire sulle loro tracce, lungo quel percorso personale e storico
che li aveva portati dal Mar Mediterraneo al Mare del Nord, dall’assolata
Salonicco alla grigia Svezia passando per l’uggiosa Gran Bretagna.
“Abbandono” è diviso in due parti, la prima
non incomincia affatto dall’inizio ma da quel primo di dicembre 1949 in cui la
nonna Rita si era sposata e prosegue con la storia di lei, la nonna. La
seconda, invece, dopo un avvio in cui la scrittrice è protagonista (con la sua
storia di abbandoni), prosegue con una ricerca più difficile e dolorosa, quella
del nonno a Salonicco che si innesta nella storia degli ebrei sefarditi espulsi
dalla Spagna nel secolo XIV.Cuenca
La nonna Rita si sentiva sola, quel giorno
di nozze del 1949. Nozze arrivate troppo tardi, dopo una ventina d’anni in cui
Rita e Vidal Coenca avevano finto di essere sposati perché Vidal non avrebbe
mai potuto dire alla madre che aveva un’amante non ebrea da cui aveva avuto una
figlia. E la paura dell’abbandono era sempre stata lì, come la solitudine delle
settimane passate in attesa del sabato quando Vidal sarebbe venuto. Anche la
madre di Rita era stata sola, abbandonata da un marito inaffidabile dopo che
avevano deciso di emigrare, di abbandonare
Francoforte per andare in America. Peccato che lui si fosse bevuto tutti i
soldi e il viaggio si era arrestato nei sobborghi più miseri di Londra.
Prevalgono le figure femminili nella
famiglia di Elisabeth Åsbrink e nel romanzo- la bisnonna, la nonna Rita e sua
sorella, la madre Sally (abbandonata dal marito, un ebreo ungherese di cui era
proibito pronunciare il nome), la scrittrice stessa che fin da bambina aveva
preso su di sé la responsabilità di alleviare la solitudine della madre che
minacciava di suicidarsi. Eppure il personaggio di Vidal Coenca giganteggia.
Lui e la sua ascendenza ebraica che gli aveva insegnato la lezione che cerca di
impartire alla figlia- piegarsi per non spezzarsi, non raccogliere le provocazioni
quando Sally è vittima di bullismo a scuola, con la sua carnagione olivastra e
i capelli scuri che ha ereditato da lui, quando i compagni storpiano il suo
cognome chiamandola Cocoa. Il cognome
Coenca derivava da Cuenca, il paese in cui abitavano i loro antenati quando il
re Ferdinando e la regina Isabella espulsero tutti gli ebrei dalla Spagna nel
1492.Hagios Dimitrios- Salonicco
Dalla Spagna la scrittrice segue le loro
orme fino a Salonicco, facente parte allora dell’Impero ottomano che garantiva
protezione e uguaglianza agli ebrei. È un viaggio triste e frustrante, fino a
Salonicco dove ogni traccia della presenza ebraica è scomparsa. Peggio. Tra
eccidi e distruzioni, ogni traccia è stata spazzata via con la violenza.
Neppure negli archivi si può trovare nulla. E quello che è più doloroso di
tutto è la distruzione del cimitero. Che cosa resta della presenza di una
comunità quando neppure i morti sono più lì? Era l’inverno del 1942 quando il
cimitero sefardita fu ridotto ad un cumulo di macerie. E nel marzo 1943, quando
il primo treno carico di ebrei partì da Salonicco diretto in Polonia, fu
autorizzato l'uso delle lapidi del cimitero per altri scopi- costruzione
dei bagni in una scuola, di una cappella nel cimitero cristiano, del Teatro
Reale, di alcune chiese. Si cammina sulle lapidi delle tombe degli ebrei per
avvicinarsi alla chiesa di Hagios Dimitrios. E la gente non lo sa.
‘La Guerriera dei ricordi perduti’ ha
terminato la sua ricerca. Senza trovare la pace. “Io non perdono”, sono le
parole con cui termina questo libro che è nello stesso tempo storia di una
famiglia e della Storia che ne ha determinato la sorte, che ha foggiato i
caratteri, che è la Storia di una scomparsa incolmabile.
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