lunedì 5 settembre 2022

Álvaro Enrigue, “Adesso mi arrendo e questo è tutto” ed. 2021

                                                   Voci da mondi diversi. Messico


Álvaro Enrigue, “Adesso mi arrendo e questo è tutto”

Ed. Feltrinelli, trad. Pino Cacucci, pagg. 428, Euro 22,00

 

     L’importanza delle parole. Le parole sono rivelatrici, ci dicono tanto, ci dicono tutto della persona che le dice. Indimenticabili, dure come una sassata, quelle pronunciate dal capo apache Geronimo quando si arrese ai bianchi che gli avevano dato la caccia e contro cui aveva valorosamente combattuto: “Prima mi spostavo come il vento, adesso mi arrendo e questo è tutto.” C’è orgoglio e malinconia in quel prima in cui il movimento era rapido come il vento (erano famosi, gli apache, per spostarsi a piedi con una velocità che superava quella degli inseguitori a cavallo). C’è rassegnazione orgogliosa in quell’ adesso della resa su cui non c’è nulla da dire, perché la vita finisce lì- suona un poco come ‘tutto il resto è silenzio’ che segna la fine di “Amleto”. E dalla fisionomia e dal portamento di Geronimo trasuda orgoglio- naso aquilino, mascella squadrata, non alto ma imponente, il corpo segnato da cicatrici: non gli era stato forse predetto che non sarebbe morto in combattimento? E suona come la predizione all’eroe Achille nell’Iliade- una morte a tempo e soggetta a condizioni.


   1836. New Mexico, uno degli stati contesi tra Stati Uniti e Messico, sulla linea di confine come l’Arizona e il Texas- tutti territori che erano da sempre appartenuti agli indiani.

Il tenente colonnello messicano Zuloaga è stato incaricato di cercare una donna, Camila, unica sopravvissuta ad una strage operata dagli apache. Le tracce indicano che è fuggita dalla fattoria, che a poco a poco, correndo, si è tolta gli stivaletti e poi la lunga gonna e la sottoveste che dovevano ingombrarle la corsa. E poi? Le orme scompaiono all’improvviso- noi lettori sappiamo che è stata sollevata di peso e caricata sul cavallo di un indiano gigantesco e ne seguiamo le peripezie.

   Tre filoni scorrono nelle pagine di questo romanzo per darci un quadro affascinante di un grande personaggio e della grande Storia che lo vede coinvolto. Una Storia di sangue e di violenza, di ingiustizia e di inganno che termina in un genocidio mai apertamente riconosciuto.


   Uno dei filoni si svolge nel presente- l’autore sta ripercorrendo con la moglie e i loro due bambini, in automobile, quelli che erano stati gli itinerari degli indiani. Che cosa è rimasto del loro passato glorioso, mistificato da film divulgativi di bassa lega in cui i buoni erano sempre i bianchi e i cattivi loro, i pellerossa di cui si accentuavano i tratti selvaggi? I bambini giocano con archi e frecce di plastica- è solo il folklore che è rimasto di quel grande dramma che è finito con arditi guerrieri (non erano forse come partigiani che difendevano la loro terra?) rinchiusi nelle riserve, esibiti come trofeo, come animali in uno zoo?

    Un secondo filone è quello della vicenda di Camila, delle sue sofferenze dapprima, della sua forza (è questa capacità di resistere che le garantisce un futuro del tutto diverso?), della sua lenta assimilazione.

    Il terzo infine (il più importante anche se ne parlo per ultimo) ci narra degli inseguitori bianchi, sia messicani sia gringos, di come la caccia diventi accanita, di ordini spietati che non contemplano la resa di Geronimo ma solo la sua morte, di generali che non possono scendere a patti con la loro coscienza e aggirano gli ordini. Perché, in definitiva, ammirano Geronimo, perché riconoscono che, seppure gli usi e costumi degli europei siano, per lo più, superiori, gli indiani vivono più a lungo, sono più abili a cavallo, più resistenti nel combattimento, sono coraggiosi, si sacrificano per il bene della comunità, sono padri, figli e nonni stupendi.


     Leggiamo di inseguimenti, di scontri e di agguati, della sottigliezza indiana e dell’inadeguatezza dei bianchi che hanno solo il numero e le armi dalla loro parte. Leggiamo di usi e costumi degli apache in lotta contro l’estinzione e tuttavia caparbi nel non arrendersi. E incapaci di vedere l’inganno dietro alle promesse. Perché loro non conoscono l’inganno, la parola data è sacra.

   Non è una facile lettura, ma ci tiene prigionieri, suscita in noi il desiderio di saperne di più, di leggere altro.

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