Casa Nostra. Qui Italia
saga
il libro ritrovato
Mariolina Venezia, “Mille anni che sto qui”
Ed. Einaudi, pagg. 244, Euro
15,00
“Mi pare mille anni che sto qui”, dice la
vecchia nonna Candida nelle ultime pagine del libro. Non sono mille, neppure
cento, gli anni della sua vita e sono quasi 150 quelli ricoperti dall’intera
saga famigliare del romanzo di Mariolina Venezia, eppure scorrono ad un ritmo
così lento che si allungano fino a sembrare mille. E forse non è neppure vero
che gli anni passino lentamente, piuttosto che, se il tempo è come un fiume, nel
paese di Grottole, in Lucania, il tempo ristagna in una pozza d’acqua ferma. Quanto
accade è ripetitivo, sembra che nulla cambi mai a Grottole, in centocinquanta
anni.
Candida, nipote di Concetta, figlia di Albina, madre di Alba, nonna di
Gioia: sono donne le vere protagoniste del romanzo. Eppure ci sono tanti uomini
nella famiglia Falcone e questa è una società maschilista in cui l’uomo è
quello che conta. Don Francesco si decide a sposare la contadina amante
Concetta quando nasce il primo figlio maschio dopo sei femmine (per ironia
della sorte il piccolo tiranno, diventato adulto, amerà farsi fotografare vestito
da donna); per Candida esistono solo i sei figli maschi e poco le importa di
Alba; sono gli uomini, il fratello di Alba e Rocco che diventerà suo marito,
che vanno al Nord e si lasciano coinvolgere nel movimento comunista. Ma le
donne regnano in queste pagine piene di storie, di amori e dolori, che iniziano
con l’unità d’Italia e terminano con la caduta del muro di Berlino. Forse perché
sono le donne che hanno la capacità di raccontare le storie, come se
ricamassero una tela, per tramandarle. Storie di ricchi e di poveri in Lucania,
e i ricchi non sono più colti o diversi dai poveri, ma hanno le terre. E non
lavorano, quello tocca ai cafoni. E’ come un’isola, Grottole. Per i grottolesi
“la Merica ” e
“l’altitalia” sono ugualmente lontane, ugualmente favoleggiate, luoghi in cui
si fanno i soldi ma si soffre di freddo e di solitudine. E poi luoghi,
entrambi, in cui si parla un’altra lingua.
Mariolina Venezia procede con brio nel
tessere le sue storie, con uno stile che mescola realismo e poesia con un
pizzico di “realismo magico”- come nella scena delle giare d’olio infrante
dalle urla di Concetta che sta partorendo il figlio maschio, o la faccenda dei
barili di ducati murati in casa che riappaiono quando non hanno più valore.
Quando il racconto delle storie di famiglia
si sposta in un tempo più vicino al nostro, si prova una sensazione di
sfasamento, quasi un capogiro: il fiume del tempo è in piena ma i grottolesi
restano fermi a vederlo scorrere e non riescono neppure a vedere i contorni di
quello che le acque trascinano con sé. E’ Gioia, che all’inizio traccia un
infantile albero genealogico per la nonna Candida che non ricorda più i nomi,
ad essere travolta dal fiume in piena. Abbandonando la famiglia per seguire i
figli dei fiori, restando implicata in trame pericolose, espatriando infine a
Parigi da dove la riporteranno a casa i genitori, per curarla.
Guardando dal finestrino del treno, Gioia
osserva che qualcosa è cambiato in Lucania, dopotutto, e non in meglio. Non c’è
più la campagna a perdita d’occhio, c’è sempre qualcosa contro cui la vista si
ferma, una casamatta, un pilone, un cartellone pubblicitario. E Gioia ne celebra
la perdita con “un funerale senza lacrime”.
la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net
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