Casa Nostra. Qui Italia
la Storia nel romanzo
Viola Ardone, “Il treno dei bambini”Ed.
Einaudi 2019, pagg. 200, Euro 16,62
Li chiamavano ‘i treni della felicità’,
quelli che, tra il 1945 e il 1947, trasportarono oltre 70.000 bambini dal
Centro e dal Sud Italia al Nord, dove sarebbero stati ospitati da famiglie
generose. Dopo qualche mese o anche un paio di anni i bambini sarebbero tornati
a casa- alcuni restarono per sempre con le famiglie ‘adottive’, i più restarono
in contatto con loro. Era un’iniziativa comunista e la Chiesa aveva cercato di
scoraggiarla, mettendo in giro voci che i bambini sarebbero stati portati in
Unione Sovietica, magari anche in Siberia.
Erano veramente ‘i treni della felicità’? ci voleva coraggio e tanto amore da parte delle madri per separarsi dai figli, si doveva credere che era per il bene dei bambini che al Sud, dopo la guerra, non avevano di che sfamarsi e di che vestirsi. Quanto ai bambini, molti affrontavano la partenza piangendo, ma erano in tanti e, una volta che il treno era uscito dalla stazione, il viaggio diventava una grande avventura- dopotutto non erano mai saliti su un treno. E poi erano tutti vestiti a nuovo, con abiti pesanti per in freddo del Nord, avevano perfino le scarpe ai piedi.
Si chiama Amerigo e ha sette anni, il
protagonista del romanzo di Viola Ardone. Sua mamma è Antonietta che, nel basso
dove abitano, ogni tanto si ritira nella sua stanza quando Capa e’fierro viene
in visita. Vanno a faticare- dicono ad Amerigo. Lui non ha mai conosciuto il
padre, la mamma gli ha detto che è partito per l’America, per questo si chiama
così. Amerigo è un ragazzino sveglio, è uno degli ‘scugnizzi’ di Napoli per cui
la strada è scuola di vita e arrangiarsi è un’arte- memorabile è la scena in
cui si mette a piovere sulla bancarella dove lui e l’amico Tommasino vendono
topi ‘pittati’ per farli sembrare criceti e la pioggia li smaschera.
Quando arrivano a Bologna, per un
contrattempo Amerigo resta l’ultimo ad essere prelevato e poi segue a casa una
signorina che non ha alcuna dimestichezza con i bambini. Tuttavia sua sorella
ha una famiglia numerosa e un cuore grande e i figli di questa diventeranno
come fratelli per Amerigo.
La prima metà del libro ci racconta la storia di una separazione e la scoperta di un’altra realtà- ad Amerigo non pare vero mangiare tre pasti al giorno (il primo assaggio della mortadella è una scena molto buffa), lavorare a fianco dell’uomo che impara a chiamare ‘babbo’ (gli suona strano, ma si abitua), imparare a suonare il violino. La voce narrante di questo bambino ci diverte, ci fa tenerezza. Ha la spontaneità dell’infanzia, la saggezza del popolo, l’umorismo di chi affronta le difficoltà con spavalderia. È inevitabile che Amerigo cambi, che si senta quanto mai lontano- e non solo geograficamente- da Napoli, che, nonostante tutto, si senta più amato nella nuova famiglia che dalla mamma. E, insieme a lui, cambia anche la signorina che lo ospita, che aveva avuto un grande dolore e si ammorbidisce prendendosi cura di Amerigo.
Poi c’è il ritorno. C’è lo sguardo nuovo
sulle vecchie cose. C’è la gelosia della mamma. C’è quello che Amerigo sente
come un tradimento. C’è la fuga e un altro ritorno, questa volta a Nord. Della
vita seguente di Amerigo sapremo in una seconda parte del libro che chiude
idealmente il cerchio iniziato nel 1946. Lo chiude con una morte, con un altro
bambino che è figlio di un fratello mai conosciuto, con un disgelo del cuore di
Amerigo che ripete, in altra chiave, quello della signorina che lo aveva
accolto tanti anni prima nella sua casa.
È un po’ scolorita, questa ultima parte del
romanzo. Ci manca la vivacità e l’immediatezza della voce del bambino di sette
anni, non siamo neppure certi che ci piaccia, questo nuovo Amerigo che ha
cambiato il suo cognome. E tuttavia “Il treno dei bambini” si legge con grande
piacere e ha il grande pregio di riportare alla luce un fatto poco noto che
apriva un nuovo periodo della Storia d’Italia, dopo gli anni dolorosi della
guerra.
Da questo libro il film diretto da Cristina
Comencini.
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