Voci da mondi diversi. Francia
Cédric Gras, “Gli alpinisti di Mao”
Ed.
Corbaccio, trad. Barbara Ponti, pagg. 240, Euro 20,90
Se
la lettura de “Gli alpinisti di Stalin” era stata una lettura
appassionante per chi ama la sfida della
montagna, lo sarà ancora di più quella de “Gli alpinisti di Mao”, il nuovo
libro di Cédric Gras, perché ancora più sfaccettato del precedente, perché parlare
di ‘alpinisti di Mao’ ha qualcosa dell’incredibile, perché i risvolti politici
della conquista delle vette acquistano la massima importanza.
Puntualizziamo subito che, agli albori
dell’alpinismo cinese, c’è una sola montagna che interessa- l’Everest con i
suoi 8849 metri di altezza, si trova nella catena dell’Himalaya, al confine tra
Cina e Nepal. Alla vetta si sale o da sud-est in Nepal o dal nord in Tibet. Per
i tibetani il Chomolungma (‘madre dell’universo’) è un monte sacro, cercare di
raggiungere la cima è un sacrilegio. Erano opposizioni ridicole per la Cina di
Mao che aveva abolito qualunque religione e che mirava all’annessione del Tibet
‘cinesizzandolo’. La conquista dell’Everest era per i cinesi qualcosa di
totalmente diverso da come l’avevano intesa Mallory e Irvine quando erano
saliti dalla cresta Nord nel 1924 morendo nell’impresa (probabilmente ne lui né
Irvine erano riusciti ad arrivare alla vetta, erano scomparsi e solo il
cadavere di Mallory fu trovato 75 anni dopo), o Hillary e Tenzing che erano
stati i primi a documentare il loro successo nel 1953, salendo dalla cresta Sud.
A questo punto per i cinesi era una questione di onore, per loro era una sfida,
non potevano essere da meno dell’Occidente capitalista. L’alpinismo cinese
nasce dal dovere e non dalla passione- negli anni ‘50 in Cina non c’è neppure
un alpinista.Hillary e Tenzing
Ed ecco che Xu Jing si trova a Mosca nel
1955 per imparare questo strano sport, l’alpinismo- non ha mai visto una parete
in vita sua. Lui e altri sono stati scelti in base a criteri disparati, la loro
fedeltà politica, l’avere attitudini sportive. Nel 1960 Xu Jing, insieme a Wang
Fuzhou e Liu Lianman, tenteranno la scalata- devono piantare sulla vetta la bandiera cinese e lasciare lassù un
busto del presidente Mao.
Non c’è niente di certo nei resoconti delle scalate cinesi, come, del resto, per qualunque notizia giunga dalla Cina dove tutto viene piegato per aderire alla visione del partito. Quella che è certa è la diversa impostazione delle imprese- il grande numero di partecipanti perché l’alpinismo non deve essere per una élite, la mancanza di una preparazione adeguata e l’attrezzatura a dir poco ridicola. Ma tutto si fa in nome di Mao, Mao supplisce ad ogni mancanza, slogan maoisti vengono gridati dalla montagna, poco importa il numero dei morti per embolia, le dita dei piedi o delle mani amputate. Sarà vero che, durante una scalata, per superare il secondo o il terzo gradino della parete, è stata fatta una scala umana sulle spalle di Liu Lianman? La volta seguente fu portata sul posto una scala di metallo.
C’è una foto della spedizione del 1960 in
cui due cinesi e un tibetano raggiunsero la vetta- almeno questa volta ce
l’avevano fatta. Perché c’erano anche altre difficoltà, oltre a quelle
tecniche, ed in parte a questo è dovuto il fascino del libro di Cédric Gras,
nel tracciare un quadro storico di quegli anni, con l’usurpazione del Tibet da
parte della Cina, la fuga del Dalai Lama, l’assassinio di monaci, lo
snaturamento dei templi, in primis quello di Rongbuk a 5154 metri di altezza,
la Rivoluzione Culturale e i laogai (campi
di rieducazione attraverso il lavoro forzato), la tremenda carestia che causò
la morte di un numero di persone dai 20 ai 40 milioni. Neppure gli alpinisti
che avevano contribuito alla gloria della Cina furono risparmiati dalle purghe.Monastero di Rongbuk
Il libro di Cédric Gras nasce da accurate e
difficoltose ricerche ed è una narrazione avvincente, spruzzata di humour e di
pietas nei confronti di uomini strumentalizzati e mandati allo sbaraglio-
impossibile non fare un confronto con l’impresa ricordata del nostro Messner
che il 20 agosto 1980 salì sulla cima dell’Everest da solo e senza ossigeno.
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