Voci da mondi diversi. Stati Uniti d'America
distopia
Paul Auster, “Nel paese delle ultime cose”
Ed.
Einaudi, trad. Monica Sperandini, pagg. 170, Euro 10,92
Queste
sono le ultime cose. Ad una ad una scompaiono e non riappaiono.
Addirittura-
viene scritto in quella che è una lunga lettera ad un’amica- una casa è lì un
giorno e il giorno dopo è scomparsa. Oppure una strada che hai percorso ieri,
oggi non c’è più.
La
ragazza- sapremo che si chiama Anna- era partita (da dove? Non è mai detto) per
andare a cercare il fratello William, giornalista, che era stato inviato per
scoprire che cosa mai stesse accadendo. L’amica l’aveva avvisata, che non lo
avrebbe mai ritrovato, ma a lei, Anna, non importava. E adesso non sa neppure
quanto tempo sia passato, è affamata, si aggira in una città spettrale che si
sta disintegrando.
L’immagine che ci introduce a questa ‘città di distruzione’ (Nathaniel Hawthorne la chiama così nell’esergo) è dantesca- il vento sospinge chi si aggira per le strade, spesso si vedono intere famiglie legate insieme per non farsi sollevare in aria. Ci saranno altre immagini dantesche- a che altro si può ricorrere, in questa città infernale?, ma anche orwelliane e swiftiane, così come le orrende condizioni di vita richiamano alla mente i campi di concentramento dove ogni minima cosa che verrebbe scartata come immondizia in un mondo normale, viene invece tesorizzata, perché può tornare utile, può servire da merce di scambio.
Tutto viene usato- proibito seppellire i morti perché i loro corpi servono come combustibile, le deiezioni vengono raccolte- questi sono gli esempi estremi. La vita è così impossibile che si cerca la morte- ci sono i Saltatori (che si buttano giù da un tetto), i Corridori (corrono fino a crollare), le cliniche per l’eutanasia, il viaggio delle Meraviglie (una serie di iniezioni che fanno sentire euforici e felici prima di quella finale), la Crociera del Piacere (un brevissimo paragrafo che può essere stato lo spunto per il romanzo “Sea Paradise” di Eleonora Lombardo).
In questa città di distruzione dove si cerca di sopravvivere con i pochi ‘lavori’ che si possono fare, come andare in cerca di qualunque oggetto o indumento o suppellettile avanzato, dove ci sono degli Agenti della Resurrezione a cui tali oggetti possono essere venduti per essere trasformati in qualcosa da mettere sul mercato, dove è proibito ricordare, dove scompaiono interi gruppi di persone (gli ebrei, gli intellettuali- e ci paiono le famose purghe staliniste), restano ancora frammenti di umanità.
La diciannovenne Anna incontra tre persone che la aiuteranno, che le daranno affetto e manterranno viva la speranza. La vecchia Isabel le offrirà alloggio nella sua casa, salvandola dai rigori di un inverno che sembra quello di Leningrado assediata e arrivando a compiere un atto estremo per amore suo; avrà un figlio dall’uomo che aveva conosciuto suo fratello e che ora vive nella biblioteca scrivendo un libro che dovrebbe restare a testimonianza, e infine incontrerà Victoria che gestisce una sorta di casa-ricovero dove accoglie gente disperata e si prende cura di loro, nutrendoli e dando loro nuovi abiti prima di mandarli via per fare entrare altre persone. Victoria salverà anche Anna…
Il finale è aperto. La lettera si conclude
con la frase: questa è Anna Blume, la tua
vecchia amica da un altro mondo. Quando arriveremo dove siamo diretti, cercherò
di scriverti ancora, prometto.
C’è una cosa da ricordare, se, rileggendo
ora il romanzo distopico di Paul Auster, abbiamo l’impressione di ‘già letto’.
Il romanzo fu pubblicato per la prima volta da Guanda nel 1996 ed altri dello
stesso genere, come “La strada” di Cormack McCarthy che vinse il premio
Pulitzer nel 2007, sono stati scritti dopo, quasi che la paura per un mondo che
si autodistrugge fosse contagiosa.
De “Nel paese delle ultime cose” ammiriamo
l’inventiva fantastica nel portare certe situazioni all’estremo e i continui
rimandi letterari a grandi opere del passato che, in qualche maniera,
conferiscono un che di poetico al testo, anche se non riusciamo ad
appassionarci ai personaggi, grigi anche loro come la tremenda grigia città di
distruzione.
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