Casa Nostra. Qui Italia
love story
noir
Concetta D’Angeli, “Le rovinose”
Ed.
Il ramo e la foglia, pagg. 265, Euro 17,00
Silvana Guerrini. Gestisce un negozietto di
paralumi nel centro di Siena.
Clara. Clara Bellami ora Clara Annibaldi e
il nuovo cognome dice tutto del salto sociale da lei fatto.
Silvana, di famiglia modesta, biondina,
bassa e magra, vestita di abiti informi, scialba ma ambiziosa. Studiava per
diventare architetto, si manteneva con borse di studio, puntava al successo
professionale per uscire dal suo ambiente.
Clara, bellissima e appariscente, inguainata in miniabiti colorati, frequentava (o meglio, non frequentava) l’Università per Stranieri di Siena, guadagnava due soldi vendendo collanine e facendo traduzioni dal russo (sua madre era russa, aveva salvato la vita a suo padre durante la guerra e lui l’aveva portata con sé in Italia). “Bell’e grulla”, la chiamavano.
Sono loro le due protagoniste del romanzo di
Concetta D’Angeli, le ragazze dei fatidici ‘anni di piombo’ in cui la violenza
si respirava nell’aria, faceva notizia sui giornali ogni mattina. E infatti la
Cronologia, in appendice, che annota la successione delle uccisioni quasi
quotidiane dal 1976 al 1988, fa parte integrante del libro- è la Storia nera
del nostro paese che fa da sfondo alla storia nera privata.
Avevano entrambe ventiquattro anni quando si erano conosciute. Era il 1976, due anni prima del sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro, l’anno in cui, a Genova, le Brigate Rosse avevano ucciso il procuratore generale Francesco Coco insieme alla sua scorta. Silvana si era rivolta a Clara per la traduzione del testo di un architetto russo che le serviva per la tesi. Erano diventate amiche, anche se amiche improbabili, così diverse.
E poi l’uomo, il terzo personaggio
principale del romanzo, Lorenzo Annibaldi, della famiglia nobile degli
Annibaldi. Aveva conosciuto prima Silvana, Lorenzo Annibaldi (occhialini alla Gramsci,
brutto ma con un suo fascino). Quando aveva incontrato Clara, era stato un
colpo di fulmine per entrambi, anche se Silvana faceva fatica a crederlo. E
comunque si erano sposati ed erano andati a vivere in Puglia, in una masseria
isolata.
Il punto di vista principale è quello di Silvana, è lei che narra la storia di quegli anni. A lei, che sa di preciso quello che vuole, che andrà a lavorare a Milano, le vicende politiche non interessano, non ha tempo per quelle. Le preme la carriera, e poi la scoperta della sua sessualità che spiega la sua mancanza di interessi verso l’altro sesso. Ci sono altri punti di vista, però, che ampliano la prospettiva, che illustrano altre facce della complessa realtà. Ci sono le lettere di Clara, lettere che Silvana aveva letto distrattamente e a volte per niente, c’è il diario di Clara che sembra quasi scritto in codice, pagine che sono un grido di aiuto, che parlano in maniera ovattata di violenza domestica camuffata da amore. E c’è infine un punto di vista esterno, una narratrice obiettiva che svela il passato di Lorenzo Annibaldi, che interpreta quello che Silvana non è capace o non ha voglia di capire- è Dorina dal cuore grande, la più ‘normale’ delle donne del romanzo, che dice di essersi sposata per mettersi al sicuro e di avere poi amato il marito con cui ha avuto tre figli.
Se l’inizio de “Le rovinose” è un ‘adagio’,
c’è poi un crescendo orchestrato magistralmente- la scia di sangue lasciata
dagli attentati di estremisti di destra e di sinistra è una rossa cornice per
altre violenze, quella della discriminazione contro cui Silvana si trova a
lottare in quanto donna, quella subita da Clara che, vittima di un triste retaggio
famigliare, trova il piacere sempre nel ruolo di vittima. Finché la tragedia è
consumata. E a noi resta come un senso di colpa, per non aver capito né il
baratro in cui precipitava il paese né quello in cui si gettava Clara.
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Grazie
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