martedì 18 gennaio 2022

Yasmina Khadra, “Le rondini di Kabul” ed. 2021

                                               Voci da mondi diversi. Medio Oriente

    la Storia nel romanzo

Yasmina Khadra, “Le rondini di Kabul”

Ed. Sellerio, pagg. 228, Euro14,00

 

   Ogni cosa al mondo ha una fine e nessun male è eterno. Si fa fatica ad avere fiducia in questa profezia che Yasmina Khadra (pseudonimo dello scrittore algerino Mohamed Moulessehoul) cita nella prefazione di questo romanzo, ripubblicato ora a vent’anni dalla sua apparizione sui nostri scaffali.  Ne è la prova il fatto stesso che sia stato ripubblicato, che non abbia perso la sua attualità, che potremmo assistere oggi alle scene sconvolgenti che leggiamo su queste pagine, perché  a volte ritornano, e no, non sono fantasmi ad essere tornati, ma i talebani a Kabul, e con loro gli spettri del passato, più spaventosi ancora. Sembravano in fuga da questi spettri, le persone che abbiamo visto sugli schermi correre per cercare di salire sugli aerei in partenza dall’aeroporto di Kabul nei giorni recenti. Li abbiamo visti aggrapparsi ai carrelli, alle ali degli aerei- e non potevano non sapere che quella era una morte certa. Forse migliore di quella che li aspettava restando.

    Due coppie sono le protagoniste de “Le rondini di Kabul”. Il guardiano del carcere Atiq e la moglie Mussarat, ammalata di tumore, e una coppia borghese- lui, Mohsen, studiava scienze politiche all’università e lei, Zunaira, avrebbe voluto diventare magistrato. Somma ironia, un carceriere in un paese che è tutto un carcere, un’ammalata terminale in un paese distrutto e moribondo, un futuro diplomatico in un Afghanistan isolato dai paesi democratici, un magistrato dove regna sovrana la sharia.


   C’è una differenza abissale tra le due coppie, sia nel loro modo di vivere la realtà che li circonda, sia nel sentimento che li unisce. Atiq e Mussarat fanno parte del sistema, il lavoro di Atiq lo rende quasi un privilegiato e lui ormai si è incallito davanti alle miserie di quei prigionieri destinati ad essere brutalmente giustiziati. Alla moglie è legato dalla gratitudine- lei gli ha salvato la vita in passato, ora tocca a lui prendersi cura di lei. Per Mohsen e Zunaira il mondo si è capovolto. Erano più che benestanti e ora hanno perso tutto, resta loro l’amore, lo stesso che li lega da quando erano studenti. E condividono l’orrore verso le squadre dei guardiani della morale, verso la sistematica uccisione della felicità, dell’allegria, dell’arte, della musica. Quando Zunaira indosserà l’odiato burqa, sarà per il motivo opposto per cui dovrebbe indossarlo, per protesta, per esprimere lo sconforto davanti a quell’operazione strisciante di persuasione dei talebani, capaci di attirare seguaci con l’oscuro fascino malvagio della violenza- a questo sono destinate le esecuzioni pubbliche come la lapidazione dell’adultera. Significa trasformare la violenza in spettacolo, autorizzarla, incoraggiare il sentimento di esaltazione del sentirsi giudici onnipotenti. E quando Mohsen- Mohsen!- scaglia una pietra, è la fine. La fine della bontà, la fine dell’amore con la moglie.


    La ruota gira, la trasformazione di Atiq e di Mussarat avviene in direzione opposta, perché forse c’è ancora uno spiraglio per l’umanità, anche se il finale sembra non lasciare alcuna speranza. Torneranno a volare le rondini su Kabul?

   Un romanzo che ha la stessa potenza di vent’anni fa, e lo constatiamo con una profonda amarezza, con una certa incredulità, incapaci di comprendere come la Storia sia un serpente che si mangia la coda. Irrimediabilmente.  




1 commento:

  1. Mi permetto di proporti il tema di una mia scolara, di dieci anni fa (scuola in lingua tedesca in Alto Adige, lei di madrelingua kosovara)
    https://ilblogdibarbara.wordpress.com/2012/05/15/il-tema-di-leyla/

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