lunedì 3 gennaio 2022

Christina Stead, “L’uomo che amava i bambini” ed. 2021

                                                   Voci da mondi diversi. Australia

          storia di famiglia

Christina Stead, “L’uomo che amava i bambini”

Ed. Adelphi, trad. F. Bossi, pagg.659, Euro 16,00

 

  “Che titolo ambiguo”, ha osservato una persona sconosciuta che occhieggiava il titolo del libro che stavo leggendo. Mettiamo in fuga ogni ambiguità- l’uomo che amava i bambini del romanzo della scrittrice australiana Christina Stead è un padre di famiglia con sette figli e, se stesse a lui, ne vorrebbe ancora, magari con la pelle nera o gialla, in uno slancio di amore universale.

    Quello di Christina Stead non è un romanzo nuovo. La scrittrice è morta nel 1983 e il romanzo è stato pubblicato per la prima volta nel 1940 e ha avuto, in seguito, fortune alterne. È stato per lo più ignorato fino ad una lode esaltante di Jonathan Franzen una decina di anni fa. È stato paragonato a “Guerra e Pace” e alla “Recherche” di Proust. Non posso essere d’accordo, anche se di certo è un romanzo singolare nel suo selvaggio attacco alla famiglia.

   I Pollit sono i protagonisti- il padre Sam, la madre Henny, una figlia del primo matrimonio di Sam, altri cinque bambini che poi diventano sei. E la loro grande casa, Toboga House, di proprietà del padre di Henny (la dovranno lasciare, per trasferirsi in un’altra casa alquanto fatiscente).


    Sam e Henny sono una coppia che farebbe passare a chiunque la voglia di sposarsi- sono in lite perpetua e l’atmosfera in quella casa, fra improperi e urla e minacce, è quella dell’anticamera dell’inferno.

Sam è il personaggio più odioso che io abbia mai incontrato in un romanzo. Non perché sia cattivo, ma è insopportabile con la sua ingiustificata continua allegria, i suoi bamboleggiamenti, il linguaggio sulla falsariga di quello storpiato infantile con cui si rivolge ai figli. Migliora solo nei sei mesi in cui viene mandato per lavoro (è un biologo) in Malesia. Laggiù, circondato da adulti, diventa una persona normale.

Henny, tanto bruna quanto Sam è biondo, è altrettanto odiosa. Perché si è sposata? Non lo sa neppure lei. Ricordiamoci che Henny appartiene ad una realtà pre-pillola- sembra che tutti questi figli siano arrivati per caso, non voluti, anche se, per il sesto, non aveva forse accettato l’invito di Sam a fare un altro bambino? Anche se poi erano stati avanzati dei dubbi se il piccolo Chuppy fosse figlio di Sam o piuttosto dell’amico di Henny. Henny non fa che gridare, minacciare di suicidarsi e, in alternativa, di ammazzare i bambini. Per non dire delle ingiurie che scaglia contro la figlia che Sam aveva avuto dalla prima moglie, Louise, il brutto anatroccolo che aveva perso la mamma quando era piccolissima- parole velenose, cattive, che fanno male. La cronica mancanza di soldi appesantisce la situazione. Louise dice: “Quando mi avvicino a casa, comincio a tremare come una foglia…non so perché. Non ho mai detto a nessuno come vanno le cose a casa.” E poi: “Non ne parlo perché nessuno mi crederebbe!”.


    Se cerchiamo una lettura estremamente realista, “L’uomo che amava i bambini”, è il libro giusto. Non ci sono lenti rosa che addolciscano il quadro della famiglia Pollit. Anzi, le lenti si tingono di nero alla fine. E tuttavia c’è troppo e troppo ripetitivo. La famiglia Pollit basta e avanza, non ci sarebbe bisogno delle sotto-storie e di tutti gli altri personaggi delle famiglie dell’uno e dell’altra, perché appesantiscono la narrazione.

   Non possiamo che concordare con le famose parole di Tolstoj che fanno da incipit ad Anna Karenina, “Ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo”- è quello su cui Christina Stead cerca di riflettere, si è infelici fin dall’inizio senza forse neppure saperlo? Si accumula infelicità su infelicità fino a che è impossibile tollerarla? È possibile essere profondamente infelici e al contempo essere dei buoni genitori? Come è possibile non riverberare questa infelicità sui figli, vittime innocenti?

    La nuova edizione Adelphi del romanzo di Christina Stead è preceduta da un’introduzione di Jonathan Franzen ed in chiusura contiene un saggio di illuminante di Randall Jarrell. 



 

     

Nessun commento:

Posta un commento