sabato 22 gennaio 2022

Daniela Krien, "I confini incerti del fuoco" Intervista 2022

                                   Voci da mondi diversi. Area germanica

     Quando era stata programmata, doveva essere un’intervista in presenza. Poi…Omicron. Giustamente la scrittrice ha deciso di non rischiare. E ormai ringraziamo anche la nuova tecnologia che, durante il primo lockdown, ci ha fatto scoprire la possibilità di supplire ai mancati incontri di persona.

La scrittrice tedesca Daniela Krien, autrice de “I confini incerti del fuoco”, ed io ci siamo ‘viste’ su zoom.

copyright Maurice Haas

Dopo aver letto due dei suoi romanzi mi pare di aver capito che quello che Le interessa è soprattutto esplorare i rapporti- tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra amici. Ha questo in mente quando inizia a scrivere un romanzo?

     Sì, è così. La mia tematica principale, nello scrivere ma anche nella vita, è vedere come funzionino i rapporti con gli altri, mi interessano i momenti di crisi nella comunicazione e anche la soluzione di queste crisi o eventuali mancanze di soluzioni: la domanda è, perché non si è arrivati ad una soluzione? È un tema che non finisce mai, quello dei rapporti in generale, nei confronti dei genitori, dei figli o degli amici.

E come è iniziato questo interesse? Quando ha incominciato a scrivere?

    Scrivo da sempre, ho iniziato a scrivere da bambina e già nei primissimi racconti trattavo dei rapporti tra persone o meglio tra animali, perché i protagonisti dei miei scritti di allora erano animali con caratteristiche umane. Il tema era già là, e in tutta la mia vita ho cercato anche di imparare mentre scrivevo. C’è sempre stato un processo per capire il mondo e le cose. Avevo poco più di trent’anni quando ho scritto il mio primo romanzo, il primo testo in cui ho veramente creduto, quello che ho ritenuto fosse adatto per una pubblicazione. Tutto quello che avevo scritto prima era importante per me, ma non aveva superato la mia critica. Invece ho deciso di provare con quel romanzo ed è andata bene.

Ho pensato che il titolo, Der Brand (L’incendio), abbia anche un significato metaforico. Incomincia come un vero e proprio incendio che distrugge una casa e poi si diffonde, minacciando di distruggere un rapporto.


    Sì. Il fuoco è una metafora a vari livelli. All’inizio è un fuoco reale, poi diventa una metafora per la crisi nella coppia e poi per la crisi all’interno della società da cui Peter si isola. Infine diventa anche una metafora per un vero e proprio incendio, per la città di Dresda, incendiata dal terribile bombardamento del 14 e 15 febbraio 1945 che influenza la storia famigliare di Rahel per l’esperienza del trauma della madre. È un motivo portato avanti da una generazione a quella successiva. Il motivo del fuoco ritorna in vari punti di tutto il romanzo.

Fino a che punto il luogo, la fattoria dove Rahel e Peter passano la vacanza, li aiuta ad esaminare che cosa è andato storto nel loro rapporto?

    Certamente il luogo li aiuta in molti modi. Vivono in una solitudine che li obbliga ad avvicinarsi. Ci sono solo loro due. Per Rahel è piacevole, d’altra parte aveva già cercato un luogo nelle montagne bavaresi, una casa solitaria, quella che poi aveva preso fuoco. Questo è un posto diverso ma l’isolamento è analogo. La natura è importante, ha un effetto curativo, Peter e Rahel vanno a fare camminate da soli, vanno a nuotare nel lago da soli. È un paesaggio calmante, piacevole. Le colline sono dolci e tutto ha un effetto riposante che li spinge a riavvicinarsi.


I sentimenti di Rahel verso i due figli sono diversi. Quasi certamente la figlia ha sofferto per essere stata lasciata con la nonna quando era piccola. Ci sono parecchi accenni al fatto che i sentimenti di Rahel come madre siano cambiati nei confronti del secondogenito perché lei era più matura. C’entrava anche il fatto che il secondo figlio fosse un maschietto?

    Entrambe le cose hanno il loro ruolo. Quello tra Rahel e il figlio Simon non è un rapporto problematico, Simon è sempre stato con i genitori, non è stato lasciato per un anno intero affidato ad altri, il suo rapporto con loro è intatto. I rapporti tra madre e figlia sono diversi. Crescendo, il loro rapporto si è sviluppato in conflitto tra madre e figlia, uno scontro tipico di due persone dello stesso sesso, due donne con tratti caratteriali simili sono destinate allo scontro. Simon, se mai, entra in conflitto con il padre. E poi Rahel ha dei rimorsi nei confronti della figlia e si arrabbia con se stessa perché riconosce i suoi errori.

 Mi ha interessato moltissimo lo sfondo del romanzo, mi hanno interessato i riferimenti alla storia di Dresda e delle due Germanie. Sono rimasta scioccata dalla scritta sui muri “Bomber Harris, do it again” che applaudiva all’impresa del noto bombardiere che guidò l’attacco su Dresda nel febbraio del 1945. Che cosa volevano dire, con quella scritta?


    È difficile rispondere, anche io sono rimasta scioccata da quella scritta, “Bomber Harris, do it again”. Una certa gioventù tedesca è formata di radicali di sinistra che hanno un rapporto malato con la nazione. La scritta vorrebbe dire augurarsi che la Germania sia distrutta. Ovviamente è un messaggio estremo. Se si potesse parlare con loro, non penso che intenderebbero così, ma sono parole che fanno riflettere. Si evidenzia un rapporto difficile con il proprio paese. C’è poi il problema delle colpe incredibili di cui si è resa responsabile la Germania durante la guerra. Colpe da cui non si guarisce e per cui non c’è perdono, sono macchie che restano. La Germania dovrebbe giungere ad una autocoscienza sana, le parole ‘Bomber Harris, do it again’ lo confermano. Dopo la guerra la Germania non è riuscita a sviluppare un’autocoscienza che non fosse destinata o a esaltarci o a umiliarci. Perciò sono nati dei movimenti di giovani che scrivono questo tipo di cose.

Mi rendo conto che quello che sto per chiederLe esigerebbe tempo per una lunga risposta, ma sarebbe interessante sapere di più sulle difficoltà che hanno avuto i tedeschi dell’Est, gli Ossi, per adattarsi allo stile di vita occidentale, dei Wessi. Può forse trovare un modo per riassumere una risposta?


    La vita che abbiamo avuto dopo la caduta del muro è stata totalmente diversa da quella che avevamo avuto prima, non aveva proprio niente in comune con quella. Eravamo cresciuti all’interno di un regime collettivista e garantista: il prezzo che si pagava era la mancanza di libertà. Dopo la caduta del muro ognuno doveva stare in piedi da solo. È stato tutto molto difficile perché il processo di adattamento era monodirezionale. Non si trattava di una vera riunificazione, la DDR è stata azzerata e abbiamo dovuto adattarci alla vita dell’Ovest. Le biografie dei cittadini della DDR hanno perso valore. I cittadini della Germania dell’Est sono rimasti feriti e queste ferite sono ancora aperte.

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