venerdì 25 gennaio 2019

Daniel Vogelmann, “Piccola autobiografia di mio padre” ed. 2019


                                                         Casa Nostra. Qui Italia
                                                              Shoah


Daniel Vogelmann, “Piccola autobiografia di mio padre”
Ed. Giuntina, pagg. 34, Euro 5,00


     Piccola autobiografia di mio padre. “Piccola”, sì, questo è un libricino di solo 34 pagine, la storia di una vita che, tra il nascere e il morire, copre 34 pagine. Un niente, come la lunghezza o la brevità di una vita nell’infinitezza del tempo. Come un racconto pieno di ombre e di silenzi. “autobiografia di mio padre”, quasi un ossimoro. Come può essere, l’autobiografia di qualcun altro? Lo è perché Daniel Vogelmann presta la sua voce al padre Schulim, morto a 71 anni nel 1974,  ventinove anni dopo essere scampato all’Olocausto: da Auschwitz, dove era arrivato dopo sei giorni di viaggio sul treno merci partito da Milano il 30 gennaio 1944, era stato trasferito al campo di concentramento di Plaszow grazie alla sua qualifica di tipografo.
il binario 21. Stazione centrale di Milano
A Plaszow Schulim doveva stampare le sterline false che avrebbero dovuto mettere in crisi la Banca di Inghilterra. Fu a Plaszow che Schulim venne a sapere di Schindler e riuscì ad unirsi agli operai che lavoravano per lui. Poi la liberazione, l’8 maggio 1945. Il viaggio di ritorno. La tragedia dentro la tragedia- il silenzio dei vivi intorno a lui e il silenzio clamoroso dei morti. Morta sua moglie, morta la loro bambina, la piccola Sissel.
Schulim e Sissel
     E’ avaro di parole, Schulim Vogelmann. Non ci fornisce dettagli. Non descrive. Perché non ci sono parole per dire l’indicibile. Forse il silenzio, forse il chiudersi alle spalle le porte dell’inferno aiuta ad andare avanti, a riprendere il lavoro da cui era stato strappato, a infondere forza nuova nella casa editrice Giuntina, a riuscire a guardare negli occhi una donna e a pensare che forse c’è ancora un futuro davanti. Il futuro è suo figlio Daniel, quello che onora la memoria del padre con questa ‘piccola autobiografia’, è il figlio di suo figlio che porta il suo stesso nome che è una variante di scrittura della parola ‘pace’ (di per sé una vittoria su chi infranse la pace), sono le nipotine a cui l’autore dedica il libro. Che termina con una frase di commiato che è come un testamento, che ci lascia colmi di ammirazione per chi ha saputo attraversare il rogo dell’Olocausto senza perdere la sua umanità: “Ho sempre amato la vita”.

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