domenica 3 gennaio 2016

Richard Flanagan, “Solo per desiderio” ed. 2008

                                                   Voci da mondi diversi. Australia
            il libro dimenticato
           FRESCO DI LETTURA


Richard Flanagan, “Wanting”
Ed. Atlantic Books, pagg. 279, formato Kindle, Euro 4,99
Richard Flanagan, “Solo per desiderio”
Ed. Frassinelli, trad. Giagheddu, pagg. 239, Euro 18,00


      Che verbo ricco di significato, quello che dà il titolo al romanzo “Wanting” di Richard Flanagan. Ho visto che in italiano è stato cambiato in “Solo per desiderio”. To want vuol dire “volere”, ma to be wanting vuol dire sia aver bisogno di qualcosa sia mancare di qualcosa, il che riconduce a volere perché quel qualcosa ci è necessario ma pure ad una accezione negativa di essere privo di una qualità, ad esempio. Come della padronanza di sé e dei propri istinti. O di altruismo e generosità. Richard Flanagan esplora questo tema con grande bravura in “Wanting” lungo due filoni narrativi esilmente collegati- quasi per un pretesto- da uno dei personaggi.

     1841. Terra di van Diemen, oggi conosciuta come Tasmania, all’epoca la maggiore colonia penale britannica. Sir John Franklin, Governatore dell’isola, acconsente al desiderio della moglie, di adottare una piccola aborigena: sarà un esperimento per dimostrare l’influenza benefica della civiltà sui selvaggi. Mathinna è una bimba deliziosa. Ha sette anni, sembra un folletto. E’ incantevole quando danza con l’abitino rosso che le hanno regalato. Troppo incantevole. Sir John ne è affascinato. Richard Flanagan non dice una parola di troppo. Sta al lettore indovinare quello che Flanagan nasconde, non suggerisce neppure, ci lascia indovinare dalle conseguenze il motivo di quello che succede. Mathinna viene dapprima mandata all’orfanotrofio con il pretesto che i Franklin devono tornare in Inghilterra e lei sarebbe una disadattata laggiù. In realtà ormai è una disadattata ovunque, anche nel paradiso della sua prima infanzia, tra i membri della sua tribù ormai decimata. La fine di Mathinna è talmente dolorosa che è un bene che io non possa parlarne. L’esperimento è fallito, ma perché? Perché i selvaggi resteranno sempre tali, malgrado ogni sforzo? O perché c’è un istinto selvaggio in ogni uomo, anche se lo si vuol negare?

     Sir John Franklin era anche un ufficiale della Royal Navy e, in quanto tale, un esploratore artico. Nel 1845 partì con due navi alla ricerca del passaggio a Nord-Ovest in quella che doveva essere la sua ultima spedizione. Non fece ritorno, intrappolato tra i ghiacci. Nel 1854 la sua vedova si rivolge a Charles Dickens,  perché la aiuti- con un dramma che il più famoso scrittore del momento metterà in scena- a riabilitare la figura del marito, sospettato di cannibalismo.

    I due filoni narrativi, il cui legame finora ci era oscuro, si riuniscono. Avevamo letto della solitudine di Dickens infelicemente sposato ad una donna con cui ha solo i figli in comune. Avevamo letto della sua irrequietezza che adesso si placa nell’infatuazione- che per lui è amore- per una giovane attrice della compagnia. Anche Dickens, come già Franklin, cede ad una pulsione selvaggia. Entrambi vogliono una donna, entrambi hanno bisogno di un legame che soddisfi il loro desiderio, entrambi mancano di fermezza di carattere. “Non riusciva più a comandare il suo cuore ribelle. E lui, un uomo che aveva passato la vita credendo che il cedere al desiderio fosse proprio dell’uomo selvaggio, capì che non poteva più negare il desiderio.” La scelta delle parole in questo finale è tutto e la traduzione non può renderle appieno. Perché si parla di discipline un undisciplined heart e con Mathinna era stato fatto il tentativo di ‘disciplinarla’, si parla del cedere al desiderio come contrassegno del selvaggio e già Franklin si era messo sullo stesso piano dei selvaggi, si termina con he could no longer deny wanting e quel ‘wanting’ è desiderio ma è anche una falla interiore, una grave mancanza. Chi sono i selvaggi, in definitiva?
Charles Dickens

     Da uno scrittore australiano un romanzo che è una condanna del colonialismo e una potente difesa degli aborigeni.


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