lunedì 25 gennaio 2016

Ralf Rothmann, “Morire in primavera” ed. 2016

                                             Voci da mondi diversi. Area germanica
                seconda guerra mondiale
                 FRESCO DI LETTURA

Ralf Rothmann, “Morire in primavera”
Ed. Neri Pozza, trad. R. Cravero,  pagg. 205,  Euro 16,00


       Penso all’incipit de “Il buon soldato” di Ford Madox Ford, Questa è la storia più triste che abbia mai sentito, quando termino di leggere il bellissimo romanzo “Morire in primavera” di Ralf Rothmann. E se vi chiedete se sia possibile scrivere ancora qualcosa di nuovo sulla seconda guerra mondiale, la risposta è ‘sì’ ed è in questo libro.
    E’ la primavera del 1945, l’ultima primavera di quella che doveva essere una guerra lampo e che durava da sei anni. Solo chi non vuole sapere non sa che i tedeschi hanno perso, che gli americani sono già sul Reno, che l’Armata Rossa avanza. Prova ne sono gli sfollati della Prussia orientale fuggiti in massa e alloggiati dove è possibile, anche nella fattoria dove Walter e Fiete- i due protagonisti del romanzo- lavorano come mungitori. E adesso Hitler, che farnetica sulla nuova arma, sulla vittoria, sulla fedeltà e sull’onore, si è messo ad arruolare anche i ragazzini. Non hanno neppure diciott’anni, Walter e Fiete, quando sono arruolati a forza. A Walter andrà bene, perché sa guidare e lo metteranno al volante dei veicoli per gli approvvigionamenti. Ma Fiete si troverà in prima linea, proprio lui che è sempre stato contro la guerra, che aveva l’ardire di salutare con un Drei Liter invece che con Heil Hitler- nel clamore delle urla la pronuncia delle parole suonava simile, nessuno se ne sarebbe accorto. Suo padre aveva combattuto nella prima guerra mondiale e diceva che l’orrore della guerra si imprimeva dentro le cellule e faceva parte del patrimonio genetico che avrebbe tramandato ai suoi figli. Forse per quello Fiete era così.
Succede comunque che Fiete viene ferito. E’ già la fine di marzo, è questione di giorni, di ore. Se solo potesse restare in ospedale finché arrivano gli americani, potrebbe cavarsela. Ma no, chiunque sia in grado anche solo di strisciare viene rispedito al fronte. E Fiete diserta. Fiete fugge. Fiete viene riacciuffato e condannato a morte. Questa storia di bambini che fanno la guerra sarebbe già abbastanza triste così, ma il peggio deve ancora venire. Non lo dimenticheremo noi e non lo dimenticherà mai neppure Walter che è anziano e sul letto di morte all’inizio del libro. Straparla, sente rumori. Sua moglie sa che sono i rumori della battaglia, quelli che sente. Eppure non ha mai voluto raccontare niente a suo figlio.
    La guerra di “Morire a primavera” è la guerra che non viene raccontata, quella di cui sappiamo poco perché chi l’ha vissuta ne sapeva poco. I protagonisti del romanzo di Rothmann non sanno, o sanno vagamente, dei rastrellamenti, dei treni piombati, dei campi. Vedono prigioniere con il cranio rasato e vestite di stracci a righe ma non si fanno domande, si sa, è la guerra. Solo dopo, quando Walter è tornato, un uomo- ha bevuto- dice che quello che Hitler ha fatto con gli ebrei è stato tutto un errore. Nella campagna della Germania del Nord dove c’è la fattoria in cui lavorano Walter e Fiete arriva solo l’eco delle notizie delle città bombardate, ne parlano gli sfollati, ma per loro, per i contadini che devono continuare a raccogliere quel poco che la terra dà e a mungere le vacche per mandare il latte all’esercito, la guerra è lontana, forse ce la faranno a sopravvivere, basta tenere duro.
Una coltre di tristezza copre il romanzo, grigia come la campagna sotto le piogge primaverili. Perfino le storie d’amore hanno il velo di malinconia dell’incertezza del futuro, della sensazione che ogni possibile gioia sia scomparsa dal mondo, dell’urgenza di aggrapparsi a qualcosa di concreto come è un corpo vivo- adesso, al momento, perché il dopo non si sa.
    E’ inevitabile pensare a Remarque, a “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, leggendo “Morire in primavera”. Sono dei ragazzini che vanno a combattere, in entrambi i libri, in due guerre diverse. Ma i protagonisti di Remarque hanno voglia di lanciarsi in una gloriosa avventura, quelli di Rothmann sanno già, prima ancora di partire, che non c’è nessuna gloria davanti a loro. Anzi, c’è la morte quasi certa. Paolo e i suoi compagni si sono arruolati volontari e con entusiasmo, Walter e Fiete sono stati obbligati- e Fiete avrebbe disertato subito, Fiete aveva dovuto essere messo a tacere dall’amico per non essere giustiziato immediatamente per disfattismo. C’è una sola luce nel romanzo di Rothmann, come già in quello di Rermarque: il valore dell’amicizia, il calore di un sentimento che può limitare il senso di spaventosa solitudine davanti alla morte.
      Un libro bellissimo.



     

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