Scott Spencer, “Un amore senza fine”
Ed.
Sellerio, trad. Francesco Franconeri, pagg. 581, Euro 15,00
Amore senza fine. Ossessione senza
fine. Follia senza fine. Tragedia senza fine, con una serie di avvenimenti
causati da quell’amore che investono come una valanga, quasi che ci siano degli
dei gelosi di un sentimento immortale tra i mortali. La voce narrante di questa
storia d’amore è lui, David Axelrod, il ragazzo che, poco più che sedicenne, si
è innamorato di Jade Butterfield, sua compagna di scuola.
Sono due i perni intorno a cui ruota la
vicenda- le conseguenze, volute o no, dell’amore di David e Jade. Il primo è
l’incendio appiccato da David alla casa dei Butterfield dopo un mese di
separazione imposto dalla famiglia di lei. Incendio fatale su cui il ricordo di
David- e di tutti i Butterfield- ritorna di continuo. Era divampato con una
furia che non era nelle intenzioni di David. Non poteva prevedere che proprio
quella sera i Butterfield avrebbero deciso di sperimentare un ‘trip’ di
famiglia con dell’LSD procurato da un cugino di Ann, la madre di Jade. E che quindi
fossero tutti onnubilati, incapaci di muoversi. Che lui, David, avrebbe
contribuito a salvarli. Tuttavia si era dichiarato colpevole e gli era andata
anche bene. Era stato condannato alla reclusione in una clinica (di lusso,
peraltro) per disturbi mentali, con la proibizione di mettersi in contatto con
qualsiasi Butterfield.
L’effetto di un isolamento totale può
avere conseguenze opposte a quelle volute. L’amore di David si era rafforzato,
tesorizzato nel ricordo. Era stato la sua ancora di salvezza, per resistere
fino al suo rilascio. Dopodiché si era messo a cercare i Butterfield. Ed ecco
il secondo tragico avvenimento- è possibile che il fato colpisca due volte? Ci
si può considerare responsabili della morte di qualcuno solo perché questi ha
attraversato con imprudenza una strada per impedirti di fuggire ed è stato travolto?
La colpa di David è tacere. Ma come non capire il suo silenzio, se rivelare la
sua presenza nel luogo dove è morto Hugh Butterfield gli impedirebbe di
rivedere Jade? I due torneranno a stare insieme, finché Jade verrà a sapere del
ruolo di David nella morte di suo padre e David, che non aveva rispettato la
sua condizione di libertà vigilata, sarà riacciuffato dalla giustizia e punito
con maggiore severità.
La storia dei due giovani, ridotta alle
linee essenziali, sembra scritta apposta per il grande schermo, fitta com’è di
avvenimenti sensazionali, nonché di incontri amorosi stuzzicanti- quelli
iniziali della scoperta del sesso, teneri e limpidamente infuocati, quando non
esiste nessun altro al di fuori del cerchio magico che circonda i due
innamorati, quello del tentativo di seduzione da parte di Ann Butterfield, e
quello (in verità troppo lungo, 30 pagine di amplesso) di David e Jade nella
stanza d’albergo da cui rubano le lenzuola.
Non per niente Zeffirelli ne ha
tratto un film nel 1981 (con Brooke Shields e un esordiente Tom Cruise) ed un
remake è stato fatto nel 2014 con la regia di Shana Feste. I film non sono
granché perché trascurano l’ampio sfondo della storia d’amore e morte. Non
possono evidenziare ciò che affiora nei ricordi di Ann, di come la fiammata dell’amore
tra David e Jade avesse appiccato un incendio alla famiglia molto prima che
alla casa. Della gelosia incestuosa del padre, di quella del fratello maggiore,
della tentazione di amore di Ann che aveva trovato una sintonia con David che
la ringiovaniva. E’ colpa di David se la famiglia Butterfield si è sfasciata? E’
stata la miccia, certo. E’ colpa di David se perfino nella sua rigorosa
famiglia suo padre si è concesso di evadere dal matrimonio, quasi fosse stato
incoraggiato dalla forza dell’amore del figlio? E’ difficile che i film
restituiscano l’atmosfera dell’ambiente filo-comunista della famiglia Axelrod:
c’entra qualcosa la severità di principi di responsabilità sociale in cui David
è stato cresciuto con la sua attrazione verso i Butterfield stile hippy,
diametralmente opposti ai suoi genitori?
E adesso
per l’ultima volta, Jade, non m’importa né domando se sia pazzia: io vedo il
tuo volto, ti vedo, ti vedo, in ogni posto ti vedo. Le parole in chiusura
del libro ci risuonano in mente, mentre continuiamo a pensare ai due
protagonisti, a domandarci se il loro sia vero amore, o se sia una costruzione
mentale, una necessità di qualcosa in cui credere perché, qualunque cosa sia,
ci riempie il cuore, ci fa venir voglia di vivere.
Nessun commento:
Posta un commento