vento del Nord
FRESCO DI LETTURA
Fredrik Sjöberg, “L’arte di collezionare mosche”
Ed. Iperborea, trad. Fulvio Ferrari, pagg. 213, Euro 16,00
Fredrik Sjöberg ha raccolto 202 diversi tipi di mosche sulla piccola (quindici
chilometri quadrati) isola di Runmarö. Se potessi esprimermi graficamente con
una delle faccette di emoticon, sceglierei quella con gli occhi sbarrati e non
so se ne metterei un numero maggiore per il numero, 202!!, o per l’oggetto
della collezione, mosche!! E al tutto farei seguire la faccetta che ride
piangendo. Diciamo la verità: non capita tutti i giorni di conoscere un
collezionista di mosche anche se lo scrittore si premura di informarci sulla
bottonologia, cioè il collezionismo di cose futili, e sulle motivazioni che
spingono le persone a collezionare di tutto oppure anche una singola cosa
purché stravagante. E tuttavia Fredrik Sjöberg non è un collezionista dilettante (forse è difficile
essere collezionista dilettante di mosche):
scrittore, entomologo e giornalista, la sua collezione di sirfidi è stata
esposta alla Biennale di Venezia del 2009. Neppure le sue mosche sono mosche
per dilettanti, non sono quegli insetti grigiastri un poco (o molto) ripugnanti
della nostra vita quotidiana. I sirfidi collezionati da Fredrik Sjöberg hanno un colore dorato che
ricorda le api, non a caso in America sono chiamati flower flies perché ronzano spesso sui fiori (hover flies in Inghilterra, per quel ronzio che fa pensare, in
scala minore, agli elicotteri). Non posso dire che vedere la loro immagine su
internet mi abbia incantato, però mi ha aiutato ad accettare la scelta di Sjöberg.
Si parte dalle mosche, dunque, nel libro di Fredrik Sjöberg, “L’arte di collezionare le
mosche”, ma poi si divaga, si parla di altro, si parla di altri, si riflette,
si arriva altrove: è la solitudine che si cerca, inseguendo, osservando e
collezionando mosche, o sirfidi che dir si voglia. Citando un altro studioso, Sjöberg scrive, “la prima cosa a cui un
entomologo deve essere pronto è la solitudine”. Ecco perché le mosche e non le
farfalle, ad esempio. Tutti possono vedere le farfalle, fanno parte del
paesaggio, si vedono anche senza cercarle, non ci si addentra nella solitudine
collezionando farfalle. E la solitudine è amica della lentezza. Forse questo è
il motivo più profondo del collezionista di mosche: scalare le marce del ritmo
quotidiano, lasciarsi colare addosso il tempo, rallentare i battiti del cuore
perché il pulsare del sangue negli orecchi non impedisca di sentire il ronzio
della mosca. Con l’unica compagnia dei fiori, dell’erba, degli arbusti, del
cielo, delle nuvole di passaggio.
Fredrik Sjöberg
è un flâneur della natura e i suoi
pensieri, come quelli di tutti i flâneur,
vagano insieme ai suoi passi. Le scelte della sua vita sono intrecciate alla
storia di René Malaise, l’inventore di una grandiosa trappola per mosche, un
uomo avventuroso che visse a lungo nella penisola della Kamchatka,
sopravvivendo al tremendo terremoto del febbraio del 1923 per poi riviverne
l’incubo nell’agosto dello stesso anno in Giappone, come se la placca tettonica
si muovesse inseguendo lui. “C’era in lui qualcosa di sconfinato”, scrive
Sjöberg per spiegare la
sua ammirazione per quest’uomo che per un breve periodo fu sposato con Ester
Blenda Nordström, altra personalità ‘sconfinata’, anticonformista, innovatrice
giornalista di indagine.
Tra gli incontri su pagina del nostro flâneur non poteva mancare Kundera, e, insieme a lui, altri
personaggi a noi meno noti, sempre un poco stravaganti, come il finlandese che
operava chirurgicamente sui moscerini per aumentare la frequenza del battito
delle loro ali. E poi, naturalmente, c’è la splendida isola di Runmarö che fa
da sfondo agli itinerari del collezionista a caccia di mosche, di aneddoti, di
ricordi, di stralci di vita altrui- e che strana sorte per un’isola così
minuscola, l’essere diventata un crocevia culturale: ci vissero Strindberg e
Tranströmer, premio Nobel 2011.
Non è citato, ma a noi viene in mente anche l’inglese Sterne e la sua
arte del divagare, leggendo Fredrik Sjöberg. C’è qualcosa del leggero umorismo inglese nella sua
scrittura, quella leggerezza che con un colpo d’ala solleva il racconto,
quell’autoironia che, a fine lettura, ci fa concordare con l’autore: è proprio
vero, anche se non ce ne eravamo accorti, siamo tutti collezionisti di mosche
nel nostro intimo.
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