sabato 5 aprile 2014

Zoë Ferraris, “I diciannove angeli” 2013



                                            Voci da mondi diversi. Medio Oriente
                                                          cento sfumature di giallo
  
                      il libro ritrovato

Zoë Ferraris, “I diciannove angeli”
Ed. Piemme, trad. Monica Capuani, pagg. 396, Euro 17,50
Titolo originale: Kingdom of Strangers

      
                  Arabia Saudita. Jedda, il cancello per la Mecca, meta di pellegrinaggio per i musulmani.  Vengono ritrovati diciannove corpi di donne sepolti nelle sabbie del deserto. Diciannove come il numero degli angeli che, secondo il Corano, sono a guardia dell’inferno. I volti delle donne, anche se  parzialmente sfigurati, mostrano che sono tutte filippine. Uccise tutte come per un’esecuzione, con un colpo di pistola alla nuca. A tutte sono state mozzate le mani. L’ispettore Ibrahim Zahrani è incaricato delle ricerche, affiancato da Katya, tecnico della Scientifica.                             



                                                          
              Zoë Ferraris, americana che si è trasferita a Jedda dopo la guerra del Golfo, ci ha regalato un thriller appassionante e insolito, sia per l’ambientazione sia per i personaggi: dal suo punto di vista privilegiato di straniera che però conosce perfettamente la realtà di cui parla, ci racconta meglio di qualunque reportage giornalistico la vita quotidiana in un paese musulmano dove l’ osservanza delle norme religiose regola ogni azione dei cittadini, le punizioni imposte dalla sharia per i reati ‘contro la virtù’ sono di una severità selvaggia secondo i criteri occidentali e le donne sono, allo stesso tempo, padrone e schiave. Padrone perché devono per forza avere un uomo che sia a loro servizio accompagnandole ovunque e schiave perché non sono libere di fare nulla di loro propria iniziativa. La trama e i personaggi de “I diciannove angeli” sono perfetti per esplorare le contraddizioni e il nascosto malessere di un paese arabo.               In realtà sono due le trame del romanzo di Zoë Ferraris, una ad evidenziare la tematica dell’altra, una macro-trama con le diciannove vittime (a cui se ne aggiungono altre in un nuovo progetto del serial killer) e una micro-trama con una sola vittima- donna naturalmente- che offre una migliore opportunità per un’analisi di rapporti personali. Tutte le donne sepolte nel deserto erano domestiche immigrate- chi si preoccupa di denunciare la scomparsa di una filippina? Al massimo si fa circolare la voce che è tornata in patria. Insieme al modus operandi dell’assassino (la posizione dei corpi rappresenta una lettera dell’alfabeto arabo, l’insieme forma parole del Corano: il killer è un uomo religioso?), veniamo a sapere dei battitori del deserto, beduini capaci di ‘leggere’ tracce nella sabbia, e anche dell’importanza dell’immigrazione nella ricca Arabia Saudita dove nessuno si abbassa più a fare certi lavori. 

   Ibrahim alzò la mano. “A me non interessa quali siano i sentimenti personali che ognuno ha nei confronti delle donne, e non dovrebbe importare neanche a te. Se la preoccupazione per la virtù comincia a impedirti di portare a termine il tuo lavoro, allora c’è qualcosa che non va. E fidati di me, anche in questa città, c’è sempre qualcosa che non va.”

Delle indagini di questo caso scottante (la polizia fatica ad ammettere che anche a Jedda ci possa essere un serial killer) si occupa Ibrahim Zahrani, affascinante figura emblematica del mondo arabo. Perché la donna che scompare nella micro-trama è la sua amante e Zahrani è stretto nella morsa di un’angoscia che ha più di una motivazione. Sabria era il suo grande amore, lui teme che sia morta ma non osa denunciarne la scomparsa perché, se il suo legame con Sabria venisse alla luce, il poco più che quarantenne Ibrahim Zahrani, che ha fatto a diciott’anni un matrimonio combinato, sarebbe accusato di adulterio. La massima pena prevista dalla legge per un adultero: decapitazione. E’ per questo che Zahrani chiede aiuto a Katya per un’indagine privata. E se Ibrahim è l’uomo ribelle alle strettoie dello stato religioso, Katya è sua compagna in questo rifiuto dell’accettazione delle norme, pesantissime per le donne, incredibili per noi. 
                                                           
Le donne non possono guidare l’automobile, se vanno in taxi devono essere accompagnate, possono fare acquisti nei centri commerciali riservati solo a loro, non possono mai restare da sole in presenza di un uomo. E naturalmente non devono mostrare nessuna parte del corpo, ricoperto per questo dal burqa. Persino nell’ambito del lavoro poliziesco c’è questa segregazione: solo donne possono fare l’autopsia del cadavere di una donna, solo donne possono svolgere l’interrogatorio di una persona del loro sesso, perfino le fotografie dei cadaveri di donne sono ‘censurate’.    

       In questo thriller che ci dà più che il semplice brivido della narrativa di genere, è bello anche il sorprendente doppio finale agrodolce dei due protagonisti. Lascia pensare che si apra qualche crepa, che si intravveda qualche spiraglio di speranza di cambiamenti in una società dove la virtù è ossessione maniacale.

la recensione è stata pubblicata su www.wuz.it

la scrittrice Zoë Ferraris    



   


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