Voci da mondi diversi. Cina
il libro ritrovato
Mo Yan, “Il supplizio del legno di sandalo”
Ed. Einaudi, trad. Patrizia
Liberati, pagg. 504, Euro 20,00
“Catturano mio padre e lo gettano
in prigione,/ e mio suocero, col legno di sandalo, compie l’esecuzione”: la
trama del nuovo straordinario romanzo dello scrittore cinese Mo Yan, “Il
supplizio del legno di sandalo”, è già in questi versi cantati da Sun Meiniang
per una rappresentazione dell’Opera dei Gatti che serve da colonna sonora per
tutto il romanzo e che racconta la stessa storia narrata nel libro ma in
versione popolare di impatto più immediato. Perché l’Opera dei Gatti è una
sorta di Commedia dell’Arte cinese che porta in scena nei villaggi
drammatizzazioni degli avvenimenti, mettendoli alla portata di tutti: il padre
di Sun Meiniang, Sun Bing, è stato arrestato per essersi unito al movimento dei
boxer contro i diavoli stranieri che stanno costruendo la ferrovia e che
vogliono, corre voce, impadronirsi delle anime dei cinesi.
la rivolta dei boxer |
Sun Bing deve essere
punito in maniera esemplare e sarà il suocero della figlia, Zhao Jia, il boia
per eccellenza, a compiere l’esecuzione. Questa la trama, più lineare e più
circoscritta in un tempo anteriore a quello da cui prende l’avvio il romanzo
precedente “Grande seno, Fianchi larghi”, il 1900 che vide la ribellione xenofoba
e anticristiana della “Società del pugno armonioso”. Ma il talento di Mo Yan
non si limita a raccontarci un episodio storico, lo arricchisce con le storie
dei personaggi che diventano ognuno l’emblema stilizzato di qualcosa di
diverso, affida la narrazione a varie voci, ciascuna con il suo timbro
inconfondibile, per farle confluire in un unico racconto in terza persona nella
parte centrale del libro prima di separarle nuovamente per i canti finali, da
cui si distacca quello di Sun Bing che prende la parola per spiegare la trama:
il suo canto del cigno prima di morire parodiato nel miagolio del gatto,
annunciando “Lo spettacolo è finito”.
Due i grandi attori di questo spettacolo-
perché, come dice la figlia, Sun Bing, dopo aver sempre interpretato le opere
degli altri, adesso è diventato protagonista di se stesso: lui, Sun Bing,
l’artista dell’Opera dei Gatti che si è unito ai boxer per caso, perché un
tedesco ha molestato sua moglie e lui lo ha ucciso, e Zhao Jia, l’artista delle
torture, “taglio le teste come fossero cavoli,/ gli uomini li spello come
porri”, che si sente il rappresentante dell’autorità dello stato, uno strumento
dell’imperatore, la personificazione tangibile della legge. E adesso bisogna
far vedere ai tedeschi la grandezza della dinastia imperiale, di quali
raffinatezze siano capaci i cinesi, perché far soffrire atrocemente prima della
fine è un’arte per i cinesi. Si sciolgono in bocca, le parole “il supplizio di
legno di sandalo”, un nome che è un piacere per l’orecchio, elegante e sonoro, e
c’è una preparazione accurata che richiede la bollitura del legno in olio di
sesamo perché scivoli dall’ano fino al collo del condannato senza ledere organi
vitali e la sua fine possa essere protratta nel tempo. Sono pagine di forte
crudeltà, quelle delle descrizioni delle torture, di Zhao Jia che riassume i
suoi capolavori- aveva diciassette anni quando compì la prima esecuzione tagliando
un uomo in due- fino a quest’ultima impresa prima di andare in pensione, tanto
che Mo Yan, in una nota, ci spiega che il suo scopo è quello di risvegliare la
compassione per le barbarie che si sono verificate nel corso della storia,
perché solo chi conosce il male può evitarlo. E comunque c’è qualcosa che
ricorda il supplizio di Cristo, nella figura dell’uomo infilzato e appeso a un
palo a cui viene dato da bere il ginseng invece dell’aceto, per tenerlo in vita
più a lungo. Altre storie confluiscono in questa vicenda principale: sentiamo la voce della figlia, amante del magistrato Qian Ding, gelosa dei piedini piccoli come fiori di loto della moglie di questi, e quella di Qian Ding che racconta l’incredibile sfida con Sun Bing, su chi dei due abbia la barba più bella, e quella dello stupido figlio del boia- rozzo pagliaccio, buffone shakespeariano- che crede a tutto quello che gli dicono, che se tiene in mano un baffo di tigre può vedere la vera natura di ciascuno. E “vede” un serpente in sua moglie, una tigre bianca in Qian Ding, una pantera nera in suo padre. Le immagini di animali sono frequenti nella scrittura di Mo Yan, richiamate in similitudini per noi esotiche, come quella della donnola che tenta di fottersi il cammello, o le sopracciglia così folte che vengono paragonate ai bachi da seta, presenti nei titoli stessi delle tre sezioni del libro- la fenice, la pantera, il maiale (il figlio del boia è- significativamente- un macellaio, un boia di rango inferiore, dunque, come si addice alla sua stupidità). Eppure, nonostante la violenza delle scene, quello che affiora nella conclusione è un sentimento diffuso di compassione e di amore e di solidarietà- nel mendicante che accetta di sostituirsi al condannato, nella figlia sollecita, nella compagnia dell’Opera dei Gatti al completo, venuta per cantare un Requiem sotto il fuoco dei tedeschi, e infine nel magistrato che compie l’atto di giustizia e di pietà finale.
la recensione è stata pubblicata sulla rivista Stilos
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