Casa Nostra. Qui Italia
romanzo di formazione
guerriglia nell'Irlanda del Nord
Edith Joyce, “Riot”
Ed.
Magazzini Salani, pagg. 332, Euro 16,90
Sono stati chiamati, con un eufemismo, “the
Troubles”, “i guai”, quelli che Edith Joyce nel suo libro chiama “Riot”,
‘rivolta’, ribellione, intitolando così il libro. Furono trent’anni di rivolta,
quelli tra la fine dei ‘60 e la fine dei ‘90, nell’Irlanda del Nord facente
parte del Regno Unito. I repubblicani cattolici non potevano accettare questa
divisione dell’Isola di Smeraldo, l’Irlanda doveva essere tutt’una- per che
cosa aveva lottato Michael Collins mezzo secolo prima? Nelle città di Belfast e
di Derry gli scontri erano continui- da una parte l’Irish Republican Army
(IRA), dall’altra l’Ulster Volunteer Force e i soldati dell’esercito
britannico. La pace era un sogno lontano.
Il romanzo di Edith Joyce inizia a Belfast
nel 1978 e siamo proiettati subito nel cuore del conflitto dalle parole di
Saoirse (un nome che significa ‘libertà’ in gaelico), la voce narrante. La mattina studiavo, la notte sparavo contro
gli inglesi…Quando uccisi un soldato per la prima volta, avevo appena dato il
primo esame.
Per comprendere che cosa abbia portato Saoirse al coinvolgimento attivo, ad arruolarsi nell’IRA, dobbiamo riavvolgere il tempo al 1964. Saoirse è ancora una bambina, vive insieme alla madre (il padre è morto e molto più tardi sapremo come e perché) a Derry. Derry dai due nomi, Derry che è Londonderry per ‘gli altri’. Per i protestanti, per i lealisti. Derry che è divisa in due parti dal fiume Foyle, Derry in cui il Bogside è come una città dentro la città, è la zona povera in cui abitano i cattolici, dove ci sono barricate nelle strade, dove ai bambini viene ordinato di non stare alla finestra, dove gli adulti troppo spesso si ubriacano per dimenticare la mancanza cronica di soldi, la disoccupazione, la guerriglia, il peso della vita, dove la morte ti aspetta all’angolo della strada con un fucile in mano.
Quattro amici diventano grandi a Bogside in questo insolito, tragico, crudamente bello, romanzo di formazione. Saoirse, Orla, Cillian, Aidan. Aidan ha qualche anno in più degli altri tre ed è sempre stato protettivo nei loro confronti, così come verso tutti i bambini del quartiere. All’inizio del libro il più grande desiderio di Saoirse è di avere una bambola, Orla sfida Aidan a giocare a biglie in strada, Cillian corre a chiedere aiuto alla mamma di Saoirse perché sua madre non riesce svegliarsi. I bambini sono abituati al pericolo, sono stati educati a rifiutare qualunque cosa gli venga offerto dagli inglesi, la strada è il loro campo di giochi. Finché…accade qualcosa che per loro è incomprensibile e inaccettabile, perché la morte di un bambino è inaccettabile, lo è sempre, lo è ancora di più quando è arbitraria e violenta. È questo momento il punto di svolta, passerà ancora del tempo ma Aidan ha già deciso che si arruolerà nell’IRA. Saoirse prenderà la stessa decisione, un po’ per amore di Aidan e molto per un’altra morte che la tocca da vicino- si può morire mentre si mangia un gelato?
Gli anni passano, si litiga, ci si
innamora, c’è la terribile giornata del 30 gennaio 1972 che verrà ricordata come
Bloody Sunday, sulle mura delle case di Derry appaiono i murales che mantengono
vivi i ricordi di chi è morto per la libertà dell’Irlanda, compare la scritta You are now entering free Derry, compare
anche la droga purtroppo. I militanti dell’IRA riservavano la morte agli
spacciatori, gambizzando invece chi faceva uso di droga- neppure questo, però, scoraggerà
uno degli amici dal cercare rifugio nel paradiso artificiale.
Edith Joyce (sotto questo pseudonimo tutto
irlandese si nasconde una giovane scrittrice italiana) ci racconta una storia
di amore e di lotta- amore per il proprio paese, amore per un ideale, amore per
un ragazzo o una ragazza, e lotta per il paese che si ama, per un’ideale di
libertà, per il diritto di non morire in una strada quando si è ancora un
bambino, per vivere in pace.
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