cento sfumature di giallo
Mi incuriosiva tutto, del romanzo “La valle dei bambini perduti” di Artur Nuraj. Ad iniziare dall’esperienza personale dello scrittore che, avevo letto, era arrivato come emigrante dall’Albania ed aveva imparato la nostra lingua così bene da poter scrivere un libro. Mi interessava il protagonista, lo sfondo politico su cui si muovono i personaggi del romanzo, tutta l’Albania, un paese che non conosco affatto e che ora più che mai mi piacerebbe visitare. E sono grata ad Artur Nuraj per avermi concesso il tempo di una lunga chiacchierata al telefono per soddisfare tutte le mie curiosità.
Nella postfazione dice di aver
incontrato Ludovik Lamani nel 2016. Ci parli di lui, di che cosa c’è di Lei,
Artur Nuraj, in questo personaggio che vive nelle sue pagine.
Ludovik Lamani è un personaggio inventato
che ha vissuto con me dal 2015. È nato per caso, mentre cercavo il personaggio
per il mio romanzo e lo cercavo- come mio solito- nelle persone vere, quelle
che incontro o che ho incontrato. Osservavo una vecchia foto degli anni ‘90 in
cui ero di stanza a Tirana presso la Guardia della Repubblica. Erano gli anni
in cui facevo il servizio militare in un reparto che vigilava nelle case dei
membri del Partito di allora, del Politburo e della Nomenklatura. Nella foto
ero con un collega davanti alla piramide dedicata all’ex dittatore Enver Hoxha.
Questo collega, che è anche mio amico, è poi diventato investigatore e Ludovik
Lamani gli assomiglia. E poi in Ludovik c’è anche qualcosa di me, del mio modo
di pensare, di riflettere, del mio modo di investigare, di leggere i grandi
classici della letteratura. Io sono sospettoso per natura e ho dato anche a
Ludovik questo lato del mio carattere. Così come la mia empatia, il mio
approccio alle persone. Il mio modo di vivere è in lui, io sono ordinato,
meticoloso, ambizioso. Ho aggiunto anche delle caratteristiche di mio fratello,
di mio papà, per creare un personaggio solido e complesso, perché è una storia
complessa e volevo che il mio personaggio fosse complesso come la storia.Enver Hoxha
“La valle dei bambini perduti” non è un
semplice giallo la cui trama potrebbe essere banale se ambientata in un altro
paese. Questo è un romanzo “politico”: ha scelto il genere ‘giallo’ per parlare
di altro?
Sì,
penso che il genere giallo possa raccontare aspetti politici e sociali dei
paesi governati da regimi ferrei. Molti autori lo fanno scrivendo saggi e
romanzi storici, io ho preferito questo genere perché il lettore lo assorbe
meglio, capisce meglio il messaggio politico e sociale.
Si
deve capire che noi vivevamo in una bolla: non succedeva mai niente di male,
eravamo protetti dal Partito. C’era però l’altra faccia della medaglia: il
Partito voleva insabbiare qualunque cosa di negativo per tenere la gente
all’oscuro. Il Partito teme la verità, ci sono differenze tra le persone
‘normali’ e quelli che lavorano per il Partito: queste sanno ma tacciono perché
sono sorvegliati dal Sigurimi che aveva occhi e orecchi dappertutto.
Racconto
con la forma del ‘giallo’, primo, perché no?, e poi perché volevo che il
lettore occidentale percorresse questo viaggio-calvario con me e con
l’ispettore e con le persone sfortunate che si trovano nel libro.
Mi interessa la sua esperienza personale che credo di intravvedere dietro la vicenda di Ludovik. Quando e perché- se posso chiederlo- è emigrato in Italia? È venuto da solo o con la sua famiglia?
Sono venuto da solo in Italia. Sono
cresciuto in Albania negli anni della dittatura, la mia era una famiglia di
lavoratori che rispettavano il regime. La vita era semplice se cercavi di
attenerti alle regole e alla politica del Partito. Chi le rispettava aveva una
vita tranquilla. Sono di Valona, come Ludovik, ma sono andato a Tirana quando
sono stato chiamato a fare il servizio militare di leva. Avevo 18 anni e il
servizio obbligatorio durava 27 mesi. Furono i miei primi anni da indipendente
e hanno segnato la mia crescita e la mia maturità. Sono arrivato in Italia a 22
anni e mi ha spinto quello che ha spinto tutti i miei compaesani: la
prospettiva di avere una vita migliore, un avvenire migliore, di aiutare la mia
famiglia. Venire in Italia ha dato un’accelerata alla mia vita, anche se tutti
quanti noi che siamo emigrati abbiamo dovuto renderci subito conto che l’Italia
non era il paradiso che immaginavamo, che anche gli italiani non se la
passavano tanto bene. Sono arrivato con le navi, perché non era permesso
emigrare. Ludovik alla fine decide che è più utile per il suo paese che lui
resti in Albania, perché l’Albania ha bisogno di lui. Io avrei voluto tornare,
ma non c’erano le condizioni adatte.
Ho letto il suo romanzo dopo averne
letto un altro ambientato nell’Unione Sovietica di Stalin e ho pensato che,
qualunque sia il paese, i metodi e gli intenti della polizia segreta sono
uguali ovunque nei paesi totalitari. Governare con il terrore è la loro
strategia?
Sì, hanno bisogno del terrore. Il Sigurimi
aveva modi oscuri ma temibili. Chi non ha provato fatica ad immaginare. Solo il
pensiero che potevi aver detto qualcosa non in linea con le direttive del
Partito ti toglieva il sonno. Il Sigurimi aveva informatori dappertutto. C’era
anche il fratello che denunciava il fratello. Nei regimi dittatoriali i servizi
segreti sono più feroci di quelli occidentali, hanno anche un controspionaggio
interno, esercitano una sorveglianza ferrea sugli scontenti, sui reazionari.
Chi è nel libro paga del Sigurimi, gli informatori, viene ricompensato con
privilegi e non con denaro- può essere con un posto di lavoro o con una borsa
di studio per un figlio. Sono favori più importanti dei soldi, perché in questo
modo ti assicuravi la vita di un figlio. E poi, l’altro aspetto è che un
informatore, per il fatto di esserlo, è tutelato, protetto.
Il colore che meglio identifica la sua Albania è il grigio: è un colore metafora?
Sì, è una metafora. In quegli anni era
tutto grigio, niente era chiaro, sia nella politica del Partito sia nel
comportamento della gente. I colori del cuore degli albanesi sono il rosso e il
nero della sua bandiera. Ma era tutto così confuso in quegli anni. Poi, dopo la
morte di Hoxha, gli occidentali hanno capito che il suo successore usava metodi
più morbidi ed allora si sono fatti avanti. Il grigio è il colore dominante
perché tutto è incerto. Quando si vedevano quei pochi turisti che venivano e
indossavano vestiti colorati, sembravano pieni di vita ed il contrasto con noi,
vestiti tutti uguali, era stridente. I pensieri grigi producono una vita
grigia: tutto parte dal pensiero.
Ma quando poi è arrivato in Italia,
quello che ha trovato corrispondeva a quello che aveva immaginato?
Sì e no. In Italia, sì, la vita era
migliore ma si doveva fare i conti con i pregiudizi. Era difficile trovare
lavoro, ma l’unica soluzione era rimboccarsi le maniche e impiegare il tempo
per migliorarsi, andare avanti senza complessi. Non ho mai voluto trovare
scuse. Lavorare, studiare, migliorarsi: questa era la via.
Il romanzo copre il decennio 1985-1995.
Sarà il primo di una serie, questo romanzo? Ce ne saranno altri che ci svelino
la realtà di quella che dovrebbe essere una nuova Albania?
La risposta è sì, anche se non vorrei
spoilerare. Ho in mente altri tre romanzi. Quando un personaggio mi toglie il
sonno di notte, mi stimola, mi porta in un altro mondo, vuol dire che sto per
scrivere un romanzo. Quello che sto scrivendo è il prequel a quello appena
pubblicato: Ludovik è una recluta e dopo l’Accademia ottiene un posto come
investigatore nella zona di montagna.Valona
Sì, l’Albania ha anime diverse nelle sue
città, e anche un punto di vista diverso, tradizioni e modi di pensare diversi,
perfino la cucina è diversa. Queste città non sono distanti tra di loro ma un
tempo, con le strade dissestate che c’erano, si facevano 60 chilometri in due
ore. La distanza si misurava in ore e non in chilometri.
Tirana
è l’anima emancipata dell’Albania, ha larghe vedute, naturalmente nel contesto
di quell’epoca.
L’anima
di Korça è l’incarnazione della cultura albanese.Korça
Valona è una città di mare ma ha una mentalità chiusa. Ci sono molti contrasti tra la gente di Tirana e quella di Valona. I valonesi sono ambiziosi e attaccati alla carriera. Ed è così anche oggi, anche se la gente ha incominciato ad aprirsi, perché ormai l’Albania è Occidente. Siamo fieri della grande accoglienza che siamo capaci di dare. Siamo rispettosi delle religioni e delle etnie. Abbiamo sempre avuto un profondo rispetto per le usanze e le tradizioni diverse. Anche in passato, nonostante le condizioni politiche, in Albania c’era indulgenza verso i nomadi, il governo ha sempre rispettato la loro anima nomade. E tuttavia- e questo viene detto nel libro- la controparte della libertà di cui i rom godevano era che dovevano sbrigarsela da soli. La libertà in un paese chiuso come l’Albania aveva questo prezzo.
Se ho nostalgia dell’Albania? Non c’è
momento, mi creda, non c’è momento della giornata in cui non pensi alla mia
terra, alla famiglia, agli amici, alla mia Valona. Torno ogni anno in Albania.
Chi c’è stato dice che ha un fascino seducente. Se vuoi trovare la natura
vergine, l’Albania è la meta ideale. Se cerchi modernità, non la trovi. La
bellezza della natura selvaggia dell’Albania ti toglie il fiato.
Io ci
tornerei, ma i figli sono nati qui, sono italiani e si sentono italiani. A loro
piace andare in vacanza in Albania e, però, restare qui. Ma a noi, a me e a mia
moglie, piacerebbe tornare.
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