giovedì 29 aprile 2021

Maaza Mengiste, “Il Re Ombra” ed. 2021

                                                                  Diaspora africana

        guerra d'Etiopia

Maaza Mengiste, “Il Re Ombra”

Ed. Einaudi, trad. A. Nadotti, pagg. 440, Euro 21,00

     Splendida immagine, quella che ci prospetta il titolo del romanzo della scrittrice etiope Maaza Mengiste di cui avevamo già letto un altro bellissimo libro, “Lo sguardo del leone”. “Il re ombra”- un doppio sconvolgente per quello che era stato il sole del suo popolo, il Negus d’Etiopia, il Leone, il Re dei Re, nato con il nome di Lij Tafari Makonnen e conosciuto dal 1930 come Hailé Selassié (‘Potenza della Trinità’), un sostituto che gli assomiglia ma è solo un umile contadino che la scrittrice chiama, significativamente, Minim che vuole dire Nulla. Un Nulla che, in groppa ad uno splendido cavallo, indossando le vesti regali, può, con la sua sola presenza, infondere coraggio nei guerrieri che combattono contro l’arrogante invasore italiano. Un’Ombra che può allontanare le ombre che oscurano il paese mentre il vero Re rimane nell’ombra. Nel suo rifugio di Bath, in Inghilterra.

Hailé Selassié

    Questo è un romanzo epico e grandioso che risuona degli echi delle composizioni epiche di una tradizione gloriosa, dei gridi di guerra degli eroi di Omero. La presenza del coro, che ritorna a punteggiare la narrazione, non è un caso- Cantate, figlie, di una donna e di mille, di quelle moltitudini accorse come il vento a liberare un paese da perfide belve…Cantate, uomini, della valorosa Aster e la furiosa Hirut e della loro luce accecante su una terra in ombra- ci fa pensare all’Iliade, alle donne del coro di Canterbury ne “Assassinio nella cattedrale” di Eliot.- perché il valore di Ettore e la furia di Achille sono attribuite a due donne che escono dall’ombra in cui la Storia è solita relegarle. Aster e Hirut sono le Amazzoni, le eroine di questo romanzo, le protagoniste che giganteggiano a fianco degli altri guerrieri.

    È il 1974 quando Hirut, seduta per terra in un angolo della stazione di Addis Abeba, attende qualcuno a cui deve restituire una cassetta piena di lettere, di articoli di giornale, di fotografie, di ‘innumerevoli morti che esigono risurrezione’. Le date di questo materiale: dal 1935 al 1941. Il proprietario della cassetta a lei affidata finché si fossero rivisti: Ettore Navarra, fotografo al seguito delle truppe italiane nella Campagna d’Africa Orientale o Guerra d’Etiopia, una guerra brutale, impari, razzista.

     1935. Inizia il lungo flashback sugli anni di guerra. Una giovanissima Hirut a servizio del nobile Kidane e di sua moglie Aster reclama per sé un ruolo attivo nella lotta contro l’invasore- dopo tutto suo padre le aveva affidato il fucile su cui cinque tacche segnavano gli italiani da lui uccisi nella guerra precedente. Anche Aster, in lutto per la morte di un figlio, gelosa di Hirut, indossa il mantello del marito e imbraccia le armi. Hirut diventerà la guardiana del Re Ombra, Aster si metterà a capo di un gruppuscolo di donne soldato, entrambe saranno prese prigioniere. E quello che passeranno è immaginabile- in guerra dove ogni istinto animalesco prende il sopravvento, in una società razzista e maschilista, la sorte di due donne prigioniere è peggiore ancora di quella degli uomini.


     Il colonnello Fucelli comanda il manipolo di italiani in quella postazione su un terrazzamento a strapiombo- posizione ideale per infliggere la morte che gli offre un piacere sadico facendo precipitare le vittime nel vuoto dall’alto. Non gli basta. Ettore Navarra, soprannominato ‘Foto’, deve cogliere quel tragico volo senza ali con il suo obiettivo. Sarà una testimonianza, una sciagurata forma di arte. Saranno le fotografie di cui Navarra conserverà una copia nella cassetta, insieme a quelle delle due prigioniere, corpi bellissimi che i dominatori vorrebbero umiliare ma che protestano la loro dignità.

   Non c’è salvezza per il colonnello Fucelli la cui crudeltà adombra quella del generale Graziani, il boia del Fezzan che utilizzò l’iprite vietata dalle convenzioni internazionali. Non c’è attenuante neppure per l’obbediente Navarra, nonostante sia lui stesso una vittima del fascismo- smetterà di ricevere lettere dai suoi genitori, finiti chissà dove in qualche rastrellamento, prigionieri in quanto ebrei, proprio come Aster e Hirut.

     È questa ampia visione della Storia che piace nel romanzo di Maaza Mengiste, così come piacciono le diverse angolature- dal punto di vista degli etiopi che difendono il loro paese, degli ascari che vengono considerati traditori, delle donne nella loro duplice veste di guerriere e di donne fragili che devono soggiacere alle voglie dei maschi, del Re in esilio, dell’umile Re Ombra che riveste panni non suoi, dei ‘cattivi’ che questa volta siamo noi, gli italiani ‘brava gente’.

    Un romanzo duro, fatto di guerra, di morti, di sangue, di stupri, primo fra tutti quello di una terra occupata a forza. Un romanzo che riesce ad avere la terribile bellezza poetica dei poemi epici. Da leggere.   

la recensione del precedente romanzo di Maaza Mengiste, insieme all'intervista con la scrittrice, si trova sotto l'etichetta 'diaspora africana'

 la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.it

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1 commento:

  1. A scuola ci hanno raccontato la favoletta del colonialismo italiano all'acqua di rose; ad approfondire la questione, si scopre che fra tutti siamo forse stati i peggiori.

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