venerdì 24 aprile 2020

Serena Zoli, “La generazione fortunata” ed. 2005


                                                                 Casa Nostra. Qui Italia
                                                                la Storia nel romanzo



Serena Zoli, “La generazione fortunata”
Ed. Longanesi, pagg. 243

       Leggere il libro di Serena Zoli a distanza di quindici anni dalla sua pubblicazione e durante la pandemia da coronavirus dà una sensazione strana a chi- come me- appartiene alla ‘generazione fortunata’ del titolo, un misto di orgoglio e di esaltazione, di rimpianto e di sconforto. C’è qualcosa di profetico in una frase che troviamo nelle prime pagine quando la scrittrice anticipa quello che è il nostro sentire e la nostra paura in questi giorni: “i contorni del mondo a cui eravamo abituati si vanno deformando e frantumando, scricchiolano le certezze, gli orizzonti appaiono minacciosi.”
    Non è stata una ‘generazione perduta’ (come quella dei giovani nati all’inizio del secolo e che furono falciati sui campi della Grande Guerra, o quella dei nati negli anni ’20, vittime dell’altro conflitto che divampò in Europa), ma una ‘generazione fortunata’, quella di coloro che hanno avuto la buona ventura di nascere tra il 1935 e il 1950. E Serena Zoli, in una carrellata che ci fa rivivere più di mezzo secolo di una storia che sentiamo come ‘nostra’ e che ci emoziona, ci spiega il perché di tanta fortuna.
     Si inizia con qualcosa che sembrerebbe il contrario della fortuna, ma non lo è: ‘la santa necessità’, la penuria che abbiamo conosciuto e che ci ha educato a dare valore a quello che avevamo, a non sprecare, ad essere parsimoniosi. Ci ha insegnato soprattutto a desiderare, e ad agire per ottenere quello che desideravamo.

 Con questa premessa, quante conquiste gloriose inseguendo un’utopia! Serena Zoli cita un proverbio magrebino bellissimo, “nessuna carovana ha mai raggiunto l’utopia, però è l’utopia che fa andare la carovana”, e lamenta che oggi l’utopia non circoli più e le carovane siano ferme. A meno che non si voglia considerare un’utopia quella che sogna l’arricchimento, l’ideale dei soldi come direttiva di vita. Che tristezza. “Una generazione nata con i piedi nel Medio Evo e con la testa nel 2000”, scrive Serena Zoli. I treni erano lenti e c’era la terza classe con i sedili di legno, le case avevano una stufa- se si era fortunati- per riscaldare e i servizi igienici erano per lo più latrine all’aperto, si tornava dalla spesa con dei cartocci che contenevano un etto, mezz’etto di questo o di quello, il frigorifero era fantascienza.
Poi, a metà degli anni ‘50, il boom. I termosifoni nelle case, le mitiche automobili modello 500 e poi 600 in cui ci si stipava anche in più di cinque, l’invenzione del week-end (che fascino, quella parola straniera), le colonie al mare per i bambini. E poi, ancora, la possibilità di frequentare l’università con il pre-salario nel 1963 e di andare a studiare l’inglese come ‘au pair’ (altra parola nuova), le leggi sul lavoro, i congedi per maternità.
Ci eravamo dimenticati che siamo stati i primi ad avere i vantaggi della penicillina, degli antibiotici, del vaccino antipolio (alcuni non hanno fatto in tempo a farlo), di quello antidifterite, che ci siamo sentiti immortali senza le malattie che erano state causa dell’alta mortalità infantile prima di noi. Così come ci eravamo dimenticati di tutto il fermento, della nuova musica, della minigonna, del femminismo che ci aveva reso consapevoli di non dover sottomesse all’uomo. E, invece, sì, l’America di ‘allora’ era diversa. Era l’America del sogno americano, quella dei liberatori, quella delle frasi che restano incise nella nostra memoria, “ich bin ein Berliner” di Kennedy, “I have a dream” di Martin Luther King. Poi è successo qualcosa e l’America è diventato ‘un paese che ostenta i muscoli’.
    Ci sono state anche le cose negative- il terrorismo, la droga- e però la nostra generazione era già un poco più avanti con gli anni per cadere in queste trappole.

Siamo stati anche gli ultimi fortunati a giocare per strada senza sorveglianza, a inventarci giochi con qualunque cosa ci capitasse tra le mani, a non avere allergie, a vedere le lucciole, ad usare le cartoline postali e ad avere sempre le ginocchia sbucciate.
    È un libro che risveglia tanti ricordi, quello di Serena Zoli, in chi appartiene alla generazione fortunata. E che ha il valore di una testimonianza per chi ha sentito parlare del ‘mito’ di quegli anni.
“Può essere che il prezzo da pagare arrivi in extremis, verso il traguardo finale, ma in ogni caso, ormai ce l’abbiamo fatta.” È arrivato adesso il prezzo da pagare, con il coronavirus?

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2 commenti:

  1. Sono fuori di un anno, ma penso che andrà bene lo stesso (e penso a "La generazione felice" di Ferenc Körmendi, capolavoro assoluto).

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