Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
cento sfumature di giallo
in altre lingue
Peter May, “The firemaker”
Ed. Riverrun, pagg 369, Euro 6,99 (formato
kindle)
Conoscevo la trilogia di Peter Lewis
ambientata nell’isola di Lewis, motivi più o meno consci mi hanno spinto ad
iniziare la lettura di “The firemaker” (acquistato tempo fa), un libro del suo
filone cinese ambientato, per l’appunto, in Cina (le coincidenze non esistono).
E alla paranoia riguardo al virus che sta mietendo vittime da ormai più di un
mese, se n’è aggiunta un’altra.
La dottoressa anatomopatologa americana Margaret Campbell ha accettato l’offerta
di tenere un corso di sei settimane all’Università di Pechino. Sapremo più
avanti i motivi che l’hanno spinta ad accettare, di certo non è stato
l’interesse per la Cina. Perché Margaret Campbell arriva a Pechino senza
essersi data la pena di leggere la documentazione informativa, senza sapere
nulla sulla storia e sulla cultura del paese che la ospiterà. Diciamo subito
che la sua totale ignoranza- perfino sulla Rivoluzione Culturale- appare
scarsamente credibile in una persona con le sue qualifiche culturali. Se lo
scrittore voleva rappresentare in lei lo stereotipo dell’americano ignorante e
arrogante, c’è riuscito perfettamente- proviamo per lei la stessa antipatia e
lo stesso leggero disprezzo dei cinesi che lei incontra. Primo fra tutti del
poliziotto Li Yan- un incontro che è letteralmente uno scontro, perché l’auto
su cui si trova Margaret urta la bicicletta di Li Yan facendolo cadere. Li Yan
e Margaret sono destinati ad incontrarsi di nuovo in una vicenda che non dura
neppure il tempo di una settimana: la stessa mattina dell’arrivo di Margaret
Campbell un uomo si è dato fuoco nel parco della città. Non lontano da lui c’è
il mozzicone di una sigaretta Marlboro. Altri due uomini vengono ritrovati
morti, un piccolo spacciatore e un lavoratore itinerante. Altri due mozziconi
di sigarette Marlboro accanto ai corpi. Una coincidenza? Impossibile con
sigarette di marca americana. Una firma?
Forse, dopotutto, l’uomo ‘bruciato’
non si è suicidato- è grazie alla perizia della dottoressa americana,
specializzata in casi come questo, che si scoprono molte cose riguardo a questa
prima vittima, anche che aveva studiato negli Stati Uniti. E allora: le
Marlboro sono un falso indizio?
Il nocciolo della trama, su cui ovviamente non posso dire nulla tranne
che ha a che fare con qualcosa di estremamente nocivo per la salute (anche se
in apparenza innocuo), è interessantissimo e molto allarmante- segnala un
pericolo che è già presente e a cui non facciamo caso, senza sapere la portata
delle conseguenze.
E impariamo parecchio dalle
spiegazioni che vengono date, in un momento tesissimo, in una notte che
potrebbe essere magica al Tempio del Cielo, prima che inizi una fuga disperata
dei due protagonisti, prima che l’amarezza di un tradimento si aggiunga al
dolore per la morte di qualcuno molto vicino a Li Yan, qualcuno che ha pagato
per lui.
Quello che non convince, invece, in questo primo romanzo cinese di Peter
May è l’ambientazione, accurata e anche
di un certo fascino, ma con paesaggi da cartolina- compresi i famosi hutong, i
vicoli fiancheggiati dalle tradizionali abitazioni a corte-, la cultura che è
piuttosto sbrigativamente spiegata negli ‘scontri’ verbali tra Margaret e Li
Yan, e i personaggi stessi, costruiti su modelli stereotipati di opposti che si
attraggono. Così da una parte la donna americana, con i riccioli biondi, la
carnagione chiara cosparsa di lentiggini dorate e l’uomo cinese, scuro di
capelli e con gli occhi a mandorla- non manca neppure il dettaglio che
all’inizio Margaret lo abbia giudicato brutto (e il punto di vista del canone
di bellezza occidentale è alquanto banale). Prevedibile e scontata, poi, è
l’attrazione sempre più forte tra i due ‘nemici’, fino al fuoco della passione
che divampa tra di loro (e perdonate il gioco di parole per un libro che si
intitola “The firemaker”).
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