martedì 8 ottobre 2019

INTERVISTA A MARC JEANSON, autore de "Il botanista" 2019


                            Voci da mondi diversi. Francia


      Non può che avere gli occhi verdi come le piante che ama e a cui dedica il suo libro, Marc Jeanson, giovane responsabile dell’Erbario del Museo Nazionale della Scienza di Parigi. E dai suoi occhi traspare passione ed entusiasmo, quando parla delle piante. Traspaiono anche dalla sua voce- parla velocissimo, come volesse dire quanto più cose possibile, per aggiungere altro a quello che ci ha già detto nelle sue pagine.

In un’era di computer e tablet che cosa resta del botanico? In un’era in cui il tempo si è polverizzato, che mi sembra l’esatto opposto del tempo della ricerca del botanico?

      È una domanda importante. Perché questo non è un libro nostalgico. Non l’abbiamo scritto in quest’ottica. Il computer è formidabile, il dna e tutte le nuove tecniche sono straordinarie per capire meglio il mondo degli esseri viventi. Questo libro è per dire che né il computer né gli algoritmi possono sostituire l’uomo perché non tutto si può fare con la tecnica. Quello che l’uomo ha iniziato nel secolo XVI, raccogliendo, identificando e seccando le piante, è una tappa fondamentale. Un computer ci fa analizzare le sequenze del dna, ma se noi non sappiamo di quale pianta si tratti, l’analisi non ha senso. Va bene studiare le molecole, ma se non sappiamo da dove vengono queste molecole, la ricerca non ha senso. Quindi, evviva il computer, evviva il dna, ma non possono sostituire il gesto storico del botanico e del suo sapere che oggi si rivela indispensabile per la costruzione del nostro futuro.

Ci sono ancora luoghi da esplorare e piante da scoprire? O forse, proprio perché tutto si evolve, ci saranno nuove specie di piante che non esistevano prima e non ci sarà fine alle scoperte?
      Da quando l’uomo ha iniziato a descrivere l’ambiente in cui vive, diciamo da 5 secoli, dal Rinascimento, sappiamo che perché una specie si fissi e si evolva in una nuova specie sono necessarie migliaia di anni. Ci sono di continuo movimento e mutazioni, ma il tempo è molto lungo e possiamo solo documentare il flusso di ciò che ci ha preceduto. Possiamo documentare solo la nostra eredità: ci muoviamo su una temporalità eccessivamente lunga.
E sì, c’è ancora molto da scoprire. In Colombia- il paese che è più ricco in biodiversità per unità di superficie- si scoprono centinaia di specie nuove di piante e fiori. Le scoperte sono soprattutto nelle zone tropicali dove c’è la maggior parte di biodiversità del pianeta. Se non si vuole restringere il campo alle piante, ma si vuole includere tutto il mondo vivente- funghi, alghe, batteri, organismi unicellulari- sono stati descritti solo il 10/15 % delle specie fino ad oggi.


Visto che parliamo di scoperte, come ha ‘scoperto’ la sua vocazione di botanista? E come ha scoperto le palme?
     Ne ho parlato anche nel libro. Non è un interesse scontato, in genere è più facile essere attratti dagli animali con cui abbiamo più cose da condividere. Nel libro parlo della mia scoperta del mondo vegetale, del momento in cui mi venne chiesto di adottare una pianta. La mia prima attrazione è stata per il lato estetico. Scatta come un click emozionale ed estetico, la fulminazione per una pianta. Questa è la prima cosa che è accaduta. Il tentativo di capire come e perché è venuto dopo. Ed allora sono entrato nel mondo della scienza botanica.
Perché le palme? Per un discorso estetico. A 15 anni ho conosciuto le palme nell’Ovest del Senegal e mi hanno affascinato. La bellezza delle piante è una bellezza accessibile a tutti.

Devo confessarle che, quando ho letto del suo amore per le palme, mi sono sforzata di ‘vedere’ tutta la bellezza che ci vedeva Lei, ma non ci sono riuscita.
     Mi ci vorrebbe molto per spiegare perché le palme mi abbiano affascinato. Per l’unicità della loro biologia. Le palme mi commuovono: si alzano sottili e alte, svettano verso il cielo, sembrano fragili eppure resistono ai venti. Hanno una loro resistenza, una forza di recupero. Sono così belle con quelle foglie allungate attraverso cui filtra la luce.

Nella Liguria dove sono nata le palme sono morte per una malattia. E’ tristissimo vedere il paesaggio senza le palme.

     È vero, è triste ma solo se considerato da parte umana. C’è soltanto una specie di palma nativa in Europa ed è la palma nana. Le altre palme sono state introdotte centinaia di anni fa: la loro scomparsa è così importante per l’equilibrio della natura? L’ecosistema dell’Europa mediterranea funziona senza palme, non sono cruciali per l’equilibrio. Abbiamo importato le palme e anche la malattia che le ha distrutte: non è un’emergenza, per me. Naturalmente non parlo dei paesi per cui le palme sono una risorsa economica, come per il Marocco, dove la morte delle palme è stato un dramma. È una relatività a cui porta il fatto stesso di essere un biologo, che cambia il tuo modo di pensare.

Nel suo libro parla di tante cose di cui non sapevo nulla. Una mi ha colpito in particolare: il carporama. Me ne può parlare?
fiori di cera

      Questa è una storia bellissima che nasce dall’ossessione di rappresentare la natura con tecniche diverse. Fu a Firenze che iniziò l’arte di riprodurre le specie della natura con la cera. Nel Museo di Storia Naturale di Firenze ci sono vetrine su vetrine colme di esemplari di cera. Nel secolo XIX, nelle isole Mauritius, D’Argentelles usò la cera per mostrare all’Europa la diversità dei fiori e dei frutti dei tropici. Lo scopo era fissare in cera la bellezza e mostrarla ai francesi. Non avrebbe potuto farlo in altra maniera data la lentezza dei viaggi e l’impossibilità di fare arrivare fiori e piante intatti a destinazione. Attualmente le creazioni di D’Argentelles sono a Parigi ma non sono visibili al pubblico: certe condizioni ambientali devono essere mantenute per proteggerli.

fiori di vetro
Di recente, a Mantova, uno scrittore mi ha parlato dei fiori di vetro del Museo dell’università di Harvard- è un po’ la stessa cosa, no? Un materiale diverso con lo stesso scopo.

     
Proprio così.
Mi ha già detto che questo non vuole essere un libro nostalgico. Io però ho avuto l’impressione che volesse essere un contributo alla memoria, una sorta di testimonianza di un mondo che forse non sta scomparendo ma che di certo non viene guardato con l’attenzione meritata. Che fosse una sorta di ‘carporama’ di parole.
     È interessante che Lei lo dica. Io sono stato fortunato a vedere l’Herbier prima del rinnovo. Il mondo è cambiato completamente e io volevo ne restasse testimonianza. Non la chiamo ‘nostalgia’, ma è lecito osservare che questa scienza non è viva oggi come lo era un tempo. Dico che era meglio prima, ma potrebbe anche tornare ad essere come era. Nel libro c’è una testimonianza in una maniera che non è mai stata fatta prima.

Fra i botanisti del passato- tutti personaggi singolari- quale è quello che Lei ammira di più per quello che ha fatto?
     È impossibile rispondere. Però tutti hanno qualcosa in comune: la passione di dedicarsi alle piante. Io devo tutto a queste persone- queste collezioni che abbiamo oggi sono dovute a tutti loro. E poi provo affetto per alcuni di loro. Patrick Blanc è un mio amico e allora si sente che ne parlo con più affetto, che è stato importante nella mia vita. Di tutti loro ammiro moltissimo la dedizione a questa passione.
Patrick Blanc
Ho letto il libro cercando di continuo su Google le fotografie delle piante di cui Lei parlava: mi sarebbe piaciuto che il libro fosse corredato da immagini delle piante.
    Mi è stato detto anche da altri lettori. In realtà è stato il mio editore francese, Grasset, a non voler inserire immagini nel libro, perché questa è la loro linea editoriale. In compenso il mio editore in Germania aggiungerà delle foto. All’inizio mi sono sentito un poco frustrato da questa mancanza e poi, però, ho pensato due cose: che il lettore può far ricorso a Google, come ha fatto Lei, e che l’assenza di foto lasciava libera l’immaginazione. 

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l'intervista e la recensione saranno pubblicate su www.stradanove.it



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