lunedì 30 settembre 2019

David Lagercrantz, “L’uomo che inseguiva la sua ombra” ed. 2017


                                                                  vento del Nord
         cento sfumature di giallo

David Lagercrantz, “L’uomo che inseguiva la sua ombra”
Ed. Marsilio, trad. Laura Cangemi e Katia De Marco, pagg 329, Euro 7,99      


     Avvertiamo subito qualcosa di nuovo, leggendo “L’uomo che inseguiva la sua ombra” ovvero Millennium 5 di David Lagercrantz, lo scrittore svedese che ha accettato l’incarico (o la sfida?) di proseguire la trilogia di Stieg Larsson, morto troppo presto e mai a sufficienza rimpianto. Avevamo già notato come Mikael Blomkvist fosse una figura scialba nel precedente “Quello che non uccide”. Avevamo avuto l’impressione che David Lagercrantz facesse fatica a fare suoi i personaggi creati da un altro. Ne “L’uomo che inseguiva la sua ombra” lo scrittore si stacca nettamente dal suo modello, sembra aver preso una decisione. Lascia in secondo piano Mikael e fa di Lisbeth Salander la protagonista principale in una trama che vede Lisbeth non solo come l’eroina che difende le donne ma anche come la giovane donna che deve venire a termini con il suo passato, deve ricostruirlo, cercando i pezzi che mancano nella sua memoria. E la trama è doppia in questo romanzo imperniato sul tema della gemellarità e dei doppi che sono delle ombre.

      Per un verdetto della giustizia che ha molto di ingiusto, Lisbeth deve scontare una breve condanna in un carcere di massima sicurezza dove imperversa una detenuta che si fa chiamare Benito in onore del Duce- e abbiamo detto tutto. Nessuno osa mettersi sulla strada di Benito, men che mai il pusillanime capo delle guardie. E adesso la vittima nel mirino di Benito è una bella e giovane donna del Bangladesh, accusata di aver ucciso il fratello che le aveva ammazzato il ragazzo di cui era innamorata. Va da sé che Lisbeth, fulminea e spietata, prenda in mano la situazione. E però Benito le giurerà eterna vendetta.
Questo è un filone della trama che vedrà Benito dare la caccia a Lisbeth, mentre Lisbeth è invece alla caccia di una donna con una macchia rossa sul collo che ricorda di avere visto parlare con sua madre, una sera di tanto tempo prima quando Lisbeth, di soli sei anni, era scappata a piedi nudi da casa. È questa ricerca che ci porta a conoscere il Registro per lo studio della genetica e dell’ambiente di Upssala. Nonostante che l’Istituto svedese di biologia razziale fosse stato chiuso nel 1958, le ricerche erano state trasferite all’istituto di genetica dell’università di Upssala. E prevedevano lo studio dei gemelli in un programma di una crudeltà inaudita avvallata dagli intenti scientifici.
Si inserisce qui un romanzo dentro un romanzo, la storia- drammatica quanto quella di Lisbeth e della sua gemella Camilla- di un’altra coppia di gemelli separati alla nascita. Una vicenda che si riallaccia al filone principale della trama.

      Ho apprezzato il modo in cui David Lagercrantz ha cercato di trovare il suo stile nel difficile compito di portare avanti un’idea non sua. Ho anche apprezzato, soprattutto a posteriori, quella sua certa titubanza, come fosse lui stesso in soggezione davanti al mitico Larssen. E certamente, se smettiamo di fare paragoni e di aspettarci quello che non può esserci nel proseguimento di Millennium, riusciamo a goderci di più la lettura dei suoi libri. Ci entusiasma, soprattutto, la spiegazione che Lisbeth dà del drago tatuato sulla sua schiena: è in carattere con lei, è un sovvertimento dell’interpretazione comune della figura di San Giorgio che uccide il drago per difendere una vergine. Proprio come lei, Lisbeth, sovverte l’idea generalizzata del modello femminile.

a breve seguirà la recensione di Millennium 6 e l'intervista con David Lagercrantz



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