lunedì 18 dicembre 2017

Maaza Mengiste, "Lo sguardo del leone" ed. 2010

                                                       Diaspora africana
       la Storia nel romanzo
       il libro ritrovato


Maaza Mengiste, Lo sguardo del leone
Ed. Neri Pozza, trad. M. Ortelio, pagg. 366, Euro 17,00

    12 settembre 1974, Etiopia. Il Re dei Re, Hailé Selassié, viene deposto con un colpo di stato. Una giunta militare marxista, il Derg, prende il potere. Qualunque dissenso è soffocato in un bagno di sangue. Le vicende di quegli anni di dittatura sono viste attraverso gli occhi di Hailu, un medico scrupoloso che si è laureato in Inghilterra, e dei suoi due figli, l’obbediente Yonas e il ribelle Dawit.


INTERVISTA A MAAAZA MENGISTE, autrice de Lo sguardo del leone

    E’ sempre stato un paese fiero, l’Etiopia. Cinque anni di occupazione italiana, sotto il fascismo, non l’hanno piegato. Ha combattuto contro il nemico usurpatore con la furia del leone rappresentato sulla sua bandiera di allora, l’altero leone berbero simbolo del paese, trasformato in animale domestico dal Negus Hailé Selassié, allevato in cattività pure nello zoo. E, come spesso accade, è forse meglio il titolo originale per il romanzo di Maaza Mengiste, Beneath the Lion’s Gaze, Sotto lo sguardo del leone, che dà l’idea della Storia che scorre implacabile sotto lo sguardo indifferente degli immobili leoni di bronzo davanti ai cancelli della residenza dell’imperatore, sotto quello del leone di granito alla base dell’obelisco con i bassorilievi che ricordano la strage compiuta dagli italiani nel 1937, dopo l’attentato al generale Graziani. Ora poi, nel 1974 del colpo di stato militare, i leoni vedono anche la violenza sugli studenti, i cadaveri straziati dalle torture e gettati in strada, con la proibizione che vengano raccolti per la sepoltura.

     Sono giorni terribili, di sangue e paura. I protagonisti del romanzo di Maaza Mengiste appartengono ad una famiglia dell’élite culturale: il padre, Hailu, si è laureato in medicina in Inghilterra e, al ritorno in Etiopia, lo stesso imperatore gli ha consegnato in regalo un orologio dicendogli: “Non sprecare neppure un minuto in stupide chimere. Fa che l’Etiopia sia fiera di te”; il figlio maggiore, Yonas, è professore universitario; il secondo, Dawit è ancora uno studente. Loro tre rappresentano le tendenze dell’intero paese: la vecchia generazione, a cui appartiene Hailu, legata alla fedeltà al vecchio sovrano senza volerne ammettere le mancanze; dei due giovani, Yonas è pavido e non osa intervenire, mentre Dawit si impegna nella ribellione e nell’opposizione al regime militare.
C’è poi un altro personaggio, di diversa estrazione sociale- è Mickey, l’amico d’infanzia di Dawit. Orfano di padre, Mickey era stato per così dire ‘adottato’ da Hailu, difeso da Dawit quando i compagni di scuola lo schernivano per le scarpe scalcagnate e gli abiti logori. La parabola di Mickey è esemplare: Mickey si è arruolato, da sempre e ovunque l’esercito ha offerto una soluzione ai più poveri. Il comitato militare lo ha inviato nella regione del Wello colpita dalla carestia dove la gente muore di fame. A questo punto Mickey è ancora capace di soffrire con chi soffre, di lasciarsi sconvolgere dalle pance gonfie dei bambini e dagli arti scheletrici degli adulti. E tuttavia Mickey non ha il coraggio di rifiutare quando riceve l’ordine di uccidere tutti coloro che sono stati arrestati perché facenti parte del vecchio governo. Quando, dopo l’eccidio, si presenta a casa dell’amico Dawit per confessarsi, per ricevere un sostegno, Dawit ha orrore di lui e lo respinge: la loro amicizia è finita. Dawit non si piegherà mai a chiedere aiuto a Mickey, neppure quando suo padre Hailu viene arrestato, e Mickey continuerà la sua ascesa a fianco dei militari assassini.

    C’è sempre il rischio di un eccesso di schematismo quando uno scrittore attribuisce ai suoi personaggi determinati comportamenti, buoni o cattivi, senza mescolare le tinte. E tuttavia Maaza Mengiste è abbastanza abile da rimescolare le carte alla fine, cosicché la durezza della vita impone delle svolte a tutti.  Intanto il lettore è venuto a conoscenza di una Storia che non si trova sui manuali, di una dittatura spietata che verrà abbattuta solo nel 1991 dopo aver fatto 200.000 vittime. Nel libro della Mengiste  quelle che più toccano il cuore sono la ragazza che viene portata in ospedale perché Hailu la faccia vivere ad ogni costo- è stata torturata da un rinomato ‘macellaio’- e il bambino Berhane, prima arrestato perché testimone di qualcosa che lui non ha capito affatto e poi ucciso perché ha rallentato il passo per tirarsi su i calzoncini che gli cadono sulle gambette magre. Si sa, è facile suscitare la commozione con i deboli e gli innocenti che soffrono, eppure è vero che sono proprio loro a pagare per degli eventi che sono più grandi di loro, oppure, come è il caso di Hailu, imprigionato e torturato, scontano la loro bontà e umanità. Perché, come dice la nuora di Hailu, quello che importa non è vivere ad ogni costo, ma ‘come si vive’.
    Abbiamo incontrato Maaza Mengiste per parlare con lei del suo libro che contiene una storia che ci tocca da vicino.


 Ho osservato che il libro è dedicato ai suoi nonni e ai suoi zii, due dei quali hanno i nomi di due personaggi del romanzo, Mekonnen e Solomon: c’è qualcosa della storia della sua famiglia nel romanzo?
      La storia della mia famiglia è solo in parte presente nel libro. Quello che c’è è l’esperienza della paura e l’oppressione che la gente ha sperimentato. Mio nonno fu arrestato per un breve periodo e poi rilasciato, per fortuna. I miei zii non erano come i personaggi del libro che hanno i loro nomi, ma volevo, per l’appunto, dare i loro nomi a dei personaggi perché era un poco come farli rivivere. Erano più vecchi del Mekonnen e del Solomon del romanzo, erano sulla trentina e sono morti entrambi durante le proteste contro il Derg. Io non li ho potuti conoscere ma ho fatto tante domande su di loro: sono stati due tra le tante vittime della rivoluzione.

Il libro verte sulla ribellione degli studenti e dei giovani: sembra che dapprima siano contro Hailé Selassié e poi contro il Derg, il governo militare. Furono delusi dal cambio di governo? Si aspettavano qualcosa di diverso?
      Sì, si aspettavano qualcosa di diverso. Pensavano che, una volta che non ci fosse più Hailé Selassié, avrebbero avuto un governo di civili, che ci sarebbero state elezioni democratiche, che i militari al governo si sarebbero ritirati. Non avevano idea che il governo sarebbe diventato così violento e oppressivo. Erano giovani e idealisti.


Si accenna spesso alla madre di Sara che uccise un ufficiale italiano: può dirci di più di questo fatto? È un fatto realmente accaduto?
     La storia della madre di Sara non è la storia di qualcuno che conosco, ma durante l’occupazione italiana era frequente che gli ufficiali dell’esercito, o anche i civili, prendessero delle donne etiopi e le tenessero come serve e amanti, contro la volontà delle donne, naturalmente. Gli italiani venivano in Etiopia come civilizzatori e si comportavano come se l’Etiopia appartenesse a loro, come se sia l’Etiopia sia le sue donne fossero loro possesso. Nacquero molti bambini da quelle unioni e nel romanzo c’è un cenno alla possibilità che Sara fosse uno di quei bambini di sangue misto. Il problema dell’identità era complicato- penso che siano molti gli etiopi che hanno sangue italiano. Comunque l’episodio della madre di Sara è vero. Io mi domandavo che tipo di resistenza potesse fare una donna in quella situazione. Perché parte del libro è un’esplorazione di quali forme la resistenza può prendere. La madre di Sara aveva solo 14 anni quando le accadde di essere ‘presa’ da un italiano e quando qualcuno ti opprime fisicamente la reazione è per forza una reazione fisica. All’origine all’episodio della madre di Sara era dedicato un capitolo intero, poi il mio editor ha voluto che lo tagliassi perché pensava che occupasse troppo spazio nella vicenda.

Non è facile per noi, lettori italiani, accettare la verità: che eravamo il nemico in Etiopia, eravamo gli usurpatori del paese. E’ stato un periodo molto brutto per la gente, quello in cui gli italiani hanno conquistato e occupato il vostro paese?

     E’ una storia complicata, un rapporto complicato. Nessuno vuole che altri occupino la propria terra, prendano il tuo paese e le tue donne. Però ci furono molti italiani che, anche finita  l’occupazione, rimasero in Etiopia, ed erano accettati del tutto, non c’era animosità nei loro confronti. Individualmente erano gentili, ma è l’idea di colonizzare un altro paese che è violenta. C’erano però quelli che vedevano gli etiopi come esseri umani e non semplicemente come dei barbari. Gli etiopi non dimenticheranno mai Graziani e i gas velenosi- sono cose che fanno parte della nostra storia. Quello che ci rende aperti verso gli italiani è che noi non abbiamo mai rinunciato a lottare, noi ci vediamo come vincitori e quindi possiamo anche essere generosi nei confronti degli italiani.

Il dottor Hailu  e sua moglie vengono rappresentati come persone molto religiose, hanno una stanza della preghiera in casa: la religione cristiana è molto diffusa in Etiopia?
       Sì, molto. E’ la religione copto-cristiana. Una cosa di cui non si parla molto è che c’è anche una numerosa minoranza di musulmani. C’è sempre lotta tra gli appartenenti alle due religioni, la classe governante è cristiana- nei primi giorni della protesta c’era anche una richiesta di pari diritti. La famiglia del dottor Hailu è molto simile a quella di mio nonno: anche in casa dei nonni c’era una stanza della preghiera come la loro.

I quattro personaggi maschili principali- Hailu, Yonas, Dawit e Mickey- rappresentano gradi diversi di accettazione o di resistenza nei confronti del governo militare. Mickey finisce con il diventare un uomo del governo anche se, fondamentalmente, è un uomo buono. E’ la debolezza la sua colpa? è la vigliaccheria che spesso spinge gli uomini a commettere il male?
      Mickey è un uomo fondamentalmente debole, arrabbiato per la posizione che occupa nella società. Vuole avanzare, vuole avere una promozione e afferra l’opportunità. Volevo vedere che cosa succede quando una persona non è cattiva, ma viene spinta in una certa direzione e non ha la forza di resistere.


Mi è sembrato però che ci fosse un punto di svolta nella vita di Mickey, un momento in cui si decide il suo futuro e la sua scelta. E’ quando, dopo il primo eccidio, va a casa dell’amico Dawit piangendo e Dawit lo respinge. Se Dawit avesse avuto più comprensione per lui, forse Mickey non avrebbe proseguito la sua carriera di assassino per il Derg.
     E’ vero, perché Mickey non è malvagio, ci si dimentica che Mickey si rifiuta di uccidere l’imperatore. Era rassegnato ad essere ucciso lui stesso per disobbedire agli ordini, si era messo in ginocchio a pregare: c’è una linea che non è disposto ad oltrepassare. E’ quello che è successo in Etiopia: la gente era divisa in due parti, non c’era un’area grigia ed è stato quello che ha spaccato le famiglie e separato gli amici.

Vive ancora in Etiopia? Come è cambiato il paese dal tempo in cui è ambientato il romanzo?
      Vivo negli Stati Uniti, ora in Etiopia c’è un nuovo governo, non c’è spargimento di sangue ma, non vivendo là, non posso parlare per esperienza diretta. Le ultime elezioni sono state nel 2005 ed ora ci saranno nuovamente: suggerirei a tutte le nazioni di osservare attentamente quello che succederà. Gli Stati Uniti vedono nell’Etiopia un alleato cristiano, un’isola in mezzo a paesi musulmani. Ma è necessario che si controlli che vengano rispettati i diritti umani e la libertà di stampa. La mia famiglia vive ancora in Etiopia: quando vado a trovarli, mi sento a casa.

Il romanzo è scritto in inglese- una scelta ovvia, visto che ora Lei vive negli Stati Uniti. Ma che lingua si parla in Etiopia?
      Si parlano molte lingue in Etiopia, la principale è l’amarico, una lingua semitica che ha un alfabeto simile a quello ebraico. La questione della lingua è diventata una questione politica: ogni gruppo etnico vuole che venga riconosciuta la sua lingua, domanda perché si debba scegliere l’amarico, senza comprendere che la lingua unica è un collante. A scuola adesso si studia l’inglese.

recensione e intervista sono state pubblicate sulla rivista Stilos

bandiera etiope dal 1949 al 1975


                                                                                          



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