sabato 17 dicembre 2016

Viet Thanh Nguyen, “Il simpatizzante” ed. 2016

                                                  Voci da mondi diversi. Asia
           guerra del Vietnam
           FRESCO DI LETTURA

Viet Thanh Nguyen, “Il simpatizzante”
Ed. Neri Pozza, trad. Luca Briasco, pagg. 508, Euro 18,00

  Niente. E’ questa la parola che ci rimbomba nella testa, con tutto il vuoto del niente, dopo aver terminato di leggere “Il simpatizzante” dello scrittore vietnamita Viet Thanh Nguyen (nato nel 1971 in Vietnam, emigrato negli Stati Uniti con la famiglia nel 1975). Anzi, non è esatto dire che abbiamo ‘terminato’ la lettura de “Il simpatizzante”, perché questo è uno di quei libri straordinari che continuiamo a leggere dentro di noi, senza girare pagine che non ci sono più, perché continuiamo a pensarci e a porci delle domande.
  Niente. E’ la parola che conclude la confessione forzata del protagonista senza nome, torturato su un lettino di un campo di rieducazione dei vincitori Vietcong. Un niente che ingloba tutto, il niente che lui ha fatto e per cui è ancora più colpevole che per quello che ha fatto, il niente che sono le verità assolute che hanno sempre il loro opposto, il niente degli slogan come ‘niente è più prezioso della libertà e dell’indipendenza’ (come mai allora, quelli che avevano ottenuto libertà e indipendenza strappavano via ad altri la stessa libertà e indipendenza?) che si può rigirare in ‘di più prezioso della libertà e dell’indipendenza c’è il niente’. Niente- continua a gridare come impazzito l’uomo dalle due facce e dalle due menti rivolto all’uomo senza faccia, il torturatore che è anche il suo migliore amico, suo fratello per patto di sangue, l’uomo che comprerà per lui il passaggio per gli Stati Uniti facendolo diventare uno dei tanti boat people in fuga.

   “Sono una spia, un dormiente, un fantasma, un uomo con due facce. E un uomo con due menti diverse, anche se questo probabilmente non stupirà nessuno”- si presenta così il protagonista all’inizio del libro che è anche l’inizio della confessione scritta che- lo sapremo alla fine- è costretto a redigere. E’ un ufficiale dei servizi di intelligence Vietcong, il nostro uomo, infiltrato con il grado di Capitano al servizio di un Generale della Repubblica del Sud. Tutto è doppio in lui, emblema di una nazione divisa artificialmente in due. E’ un figlio bastardo che appartiene a due mondi: suo padre era un sacerdote cattolico francese che aveva sedotto sua madre, una ragazzina, poco più che una bambina, vietnamita. Aveva avuto l’opportunità di studiare negli Stati Uniti dove si era appropriato anche della cultura di quest’altro mondo- durante la rieducazione gli verrà rinfacciata la sua ammirazione per l’Occidente. Eppure non è vero, perché questa è la prerogativa del simpatizzante dalle due facce e dalle due menti- vedere il negativo e il positivo, i pregi e i difetti di Oriente e Occidente. Ma del suo passato veniamo a sapere a poco a poco, durante la lunga confessione che prende l’avvio dall’aprile 1975 ( “aprile è il mese più crudele”, sono le parole prese a prestito dalla “Terra desolata” T.S. Eliot), dalla caduta di Saigon, quando una guerra che dura ‘da tempo immemorabile’ sta per finire.
E sono scene apocalittiche, quelle che il simpatizzante o la spia, racconta. Dell’atmosfera da disfatta che regna nella villa del Generale, dei preparativi per lasciare il paese, dell’obbligo di irrigidire il cuore davanti alle richieste pressanti di un passaggio per la salvezza, dei cannoneggiamenti, delle granate, dei bombardamenti, della confusione, delle grida, dei morti, dei feriti, delle urla di chi sa di dover attendere l’arrivo dei Vietcong, i fratelli nemici. Il protagonista seguirà il Generale in America ed è riuscito ad ottenere un passaggio per l’amico Bon, con la moglie e il bambino. Lui, Bon e Man avevano stretto il patto di fratellanza da ragazzi- una cicatrice sulle loro mani ne era il perenne ricordo. La vita aveva schierato Bon e Man su due fronti diversi e Bon non sapeva, naturalmente, che lui, l’uomo dalle due menti, era il trait d’union, vivendo al Sud come spia del Nord.

   Ci sono delle prove da superare, per risultare credibili e non suscitare sospetti. Finora lui, il simpatizzante, il protagonista, la spia, può dichiarare di non aver mai ucciso nessuno, ma quando, in California, indica al Generale una possibile talpa che sa bene essere innocente, non è pure lui colpevole anche se è Bon a sbarazzarsene? E così anche per il giornalista i cui scritti non sono piaciuti al Generale. I loro fantasmi da adesso terranno compagnia al protagonista di cui non sapremo mai il nome pur sapendo che ne ha due, uno vietnamita e uno occidentale. Questi due morti si aggiungeranno al peso sul piatto della bilancia del ‘niente’, del non fatto per salvare qualcuno, eterna responsabilità di tutte le guerre.

    Questo è il primo libro che leggiamo sulla guerra del Vietnam vista dalla parte del Vietnam perché, caso più unico che raro, sono stati i vinti a scriverne la storia. Intenso, lacerato, irrisolto, “Il simpatizzante” non risparmia nessuno- non i colonizzatori francesi, non gli americani, arroganti importatori di democrazia e libertà, non i vietnamiti con il mito dello ‘zio Ho’. E, un gioiello nella narrativa del romanzo- non un secondo romanzo dentro il romanzo ma un film dentro il romanzo, il film sulla guerra del Vietnam per cui è chiesta la consulenza del nostro protagonista. Ne verrà fuori una grossolana pellicola hollywoodiana che stravolge la realtà, esalta gli americani, istupidisce i pochi vietnamiti che vi appaiono- una beffa ulteriore che si somma a tutte le sofferenze.
   Vincitore del Premio Pulitzer 2015, questo è un libro da leggere.

la recensione sarà pubblicata su www.stradanove.net


   

   

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