martedì 7 giugno 2016

Hugo Hamilton, “La maschera” ed. 2010

                         Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
       il libro ritrovato


Hugo Hamilton, “La maschera”
Ed. Fazi, trad. Isabella Zani, pagg. 291, Euro 18,50



    Un bambino. Una madre. La Germania. La seconda guerra mondiale. Sono temi cari a Hugo Hamilton, autore dell’indimenticabile “Il cane che abbaiava alle onde” (Fazi, 2004), figlio di padre irlandese e madre tedesca. E in “La maschera”, il suo quarto romanzo, appare sempre più chiaro quanto la mamma tedesca, i suoi racconti degli anni di guerra, i traumi da lei vissuti, si siano ripercossi su di lui. Quanto abbia inciso su di lui la doppia eredità irlandese e tedesca che nella vita lo ha portato a vivere a Dublino e a Berlino e nella narrativa lo ha spinto ad indagare e a indagarsi sul tema dell’identità.
    Siamo sul finire della guerra e “La maschera” inizia con il bombardamento di Berlino. Gregor Liedmann, di quasi tre anni, scompare, letteralmente, insieme alla casa sventrata. Sua madre quasi impazzisce dal dolore.
Viene ‘salvata’ dal padre, un piccolo truffatore che gira su un camion fingendo di requisire le armi danneggiate- un disertore, dunque. Il padre si dirige verso la loro città, Norimberga, e, durante il viaggio accidentato, con le strade intasate da colonne di rifugiati in fuga dall’Est, ad un certo punto si presenta alla figlia con un bambino che ha all’incirca l’età di Gregor. Qual è il problema? Un bambino le è stato tolto, un bambino le è stato dato. Un’opera buona nei confronti di se stessa, del bambino che chissà che fine farebbe. Per lui una maniera per mettere a tacere il senso di colpa per aver ucciso un russo durante la prima guerra mondiale- una morte per una vita, ancora. L’uomo- il ‘nonno Emil’- non potrà mai rivelare la provenienza del bimbo: tradito da un amico, viene ucciso dai nazisti stessi. Il bambino cresce come Gregor Liedmann, impara il tedesco (subito non capiva neppure una parola); il padre, al ritorno dalla prigionia in Russia, crede che sia suo figlio; quello che pensi la madre non è del tutto chiaro: ha rimosso ed è arrivata a credere che il bambino sia veramente l’altro Gregor?

    La scena del libro si sposta tra il presente, nel 2008, e un passato lungo più di sessant’anni- tutta la vita ‘sotto mentite spoglie’ (è il significato letterale del titolo originale, “Disguise”) di Gregor Liedmann, che ad un certo punto è fuggito da casa, troncando i rapporti con i genitori, si è innamorato di Mara, è diventato musicista. Il presente è una lunga giornata di fine settembre in un casolare a sud di Berlino: Gregor, Mara, il loro figlio Daniel con la sua compagna, una sorellastra di Mara con marito e figlio, raccolgono mele. E’ uno scenario simbolico nella sua pace idilliaca- immagini di semina e raccolto, profumo dolce di mele mature, lieve minaccia del ronzio dei calabroni, sono un contrappunto al tormento del passato, con morte e distruzione, sibilo di serene e puzzo di cadaveri. E ancora: nel presente, il bambino Johannes, certo dell’affetto dei genitori, e l’altro bambino che la sorellastra di Mara porta in grembo, servono per ricordare quanto diversa sia stata l’infanzia di Gregor. Nulla appare certo. Nel lettore viene instillato il dubbio sull’identità di Gregor: il suo stesso dubbio? Che cosa gli ha fatto pensare di essere un bambino ebreo, sopravvissuto a un eccidio? Forse Gregor voleva essere ebreo, voleva identificarsi con il popolo che la sua gente aveva sterminato? Era gravato da un senso di colpa collettivo?
    Gregor non avrà mai pace, nella sua identità incerta. E toglierà la pace alla sua famiglia con il suo eterno girovagare per il mondo, inseguendo il suono della sua tromba, o amici casuali. La ritroverà, forse, con la rivelazione alla fine della giornata gravida di pace e di mele.

Ci sono pagine molto belle ne “La maschera”. Forse le più belle sono quelle che rievocano la guerra e la ‘colpa’ dei tedeschi, più ancora di quelle di Berlino che sta rinascendo, città in cerca di un’identità quanto il protagonista di questo romanzo che- dopo quattro prove narrative- si può definire prettamente ‘hamiltoniano’.

la recensione è stata pubblicata su www.stradanove.net





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