mercoledì 1 giugno 2016

Hugo Hamilton, “Il cane che abbaiava alle onde” ed. 2004

                                       Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda
          autobiografia
          il libro ritrovato


Hugo Hamilton, “Il cane che abbaiava alle onde”
Ed. Fazi, trad. Isabella Zani, pagg. 261, Euro 16,50


     Era stato un sogno grandioso, quello di far rivivere la lingua dei Celti in Irlanda. Voluto dalla Lega Gaelica a fine ‘800 per indirizzare in modo non violento la lotta contro i dominatori inglesi, sulla base del principio che una nazione, per essere indipendente, deve avere una sua identità linguistica diversa da quella dell’oppressore. Sono ormai lontani gli anni ’50 e ’60 in cui l’Irlanda era ancora invasata da un furore antibritannico e i telegiornali venivano trasmessi prima in gaelico e poi in inglese, e, nella moderna società multiculturale e plurilinguistica, può sembrare eccentrico il personaggio di John Hamilton nel romanzo autobiografico dello scrittore irlandese Hugo Hamilton. Tanto per incominciare, non rispondeva neppure a chi lo chiamava con la versione inglese del suo nome: John doveva diventare Sean, e questo era facile, ma il cognome, O hUrmoltaigh era impronunciabile e impossibile da ricordare. E poi i suoi figli avevano la proibizione di parlare in inglese, persino di ripetere le parole delle canzoni inglesi- era la lingua del nemico. Proibito avere compagni di gioco,  a meno che non parlassero irlandese.
Benvenuti! (gaelico)
Ma questa non era l’unica difficoltà nei rapporti con i coetanei. La mamma era tedesca, con lei i bambini parlavano solo in tedesco, per poi sentirsi chiamare “Hitler” e “Eichmann” e “nazisti” dagli altri ragazzi in strada, quando non venivano addirittura picchiati. Loro, i bambini O hUrmoltaigh, erano i bambini “a macchie” (“The speckled people” è il titolo originale), “i bracchi”, dalla parola irlandese per indicare il dolce con le uvette. Loro indossavano i Lederhosen, i pantaloncini di pelle della Baviera, con i maglioni di lana grossa delle isole Aran: erano tedeschi di sotto e irlandesi di sopra. Dormivano in tedesco e sognavano in irlandese, ridevano in irlandese e piangevano in tedesco. La voce narrante dello scrittore bambino rievoca gli anni dell’infanzia, quando è difficile tracciare dei confini, un mondo scivola con naturalezza dentro l’altro, si capisce che in casa si è in Germania e, quando si esce, si è in Irlanda. Che ci sono i parenti irlandesi e quelli tedeschi, ma sono le zie tedesche che regalano giocattoli mai visti in Irlanda.
Buona fortuna!
E come in un film bianco e nero si vedono spezzoni della vita della mamma in Germania sotto il nazismo, e solo alla fine si vedrà la scena che spiega perché sia arrivata in Irlanda. Passano gli anni, nascono altri bambini, verrà il giorno in cui lo scrittore si ribella al padre, il giorno in cui il padre inizia a vacillare nella sua fiera difesa dell’uso esclusivo della lingua gaelica, il giorno in cui muore- mentre è in viaggio, in Germania, e la madre si sente persa e “adesso cerchiamo di tornare a casa…ma a volte è difficile sapere dov’è”
   “Il cane che abbaiava alle onde” non è “un’altra” autobiografia di uno scrittore irlandese, con il solito miscuglio di miseria, cattolicesimo, padri che sperperano i soldi nei pub. Diverso l’ambiente, diverse le tensioni, singolare lo sforzo di comprendere due mondi, di assimilare tre lingue e la cultura che c’è dietro di esse. Straordinaria la voce del bambino che guarda, osserva e riporta le frasi che sente, con un effetto di ironia malinconica creata dal velo del ricordo. Era dalle pagine iniziali del “Ritratto d’artista” di Joyce che non sentivamo una voce come questa.

la recensione è stata pubblicata sulla rivista Stilos



                     

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