Voci da mondi diversi. Australia
guerra civile in Sri Lanka
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Shankari Chandran, “Chai time at Cinammon Gardens”
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Press, pagg. 368, Euro 11,24
Cinammon Garden- un quartiere di Colombo, nello Sri Lanka, di cui ricordavamo il nome dopo aver letto il romanzo con questo titolo di Shyam Selvadurai.
Profumo
di tè speziato, il chai che si beve in tutto l’Oriente asiatico.
Un
titolo che sa di nostalgia, un titolo che trae in inganno, perché il romanzo di
Shankara Chandran, vincitore del Miles Franklin Prize, il più prestigioso
premio letterario australiano, è pieno di nostalgia ma anche di dolore, di
umiliazione, di atrocità, di guerra.
Cinammon Gardens è il nome di una casa di riposo per anziani nel quartiere di Westgrove, a Sydney, in Australia. Dagli anni ’80 del ‘900 i proprietari sono Maya e Zhakir Ali, fuggiti dallo Sri Lanka dopo che Zhakir, un archeologo di templi, era stato arrestato e pesantemente torturato nel corso della guerra civile insieme al padre di Maya, anche lui un famoso archeologo. Il padre di Maya era morto e Zhakir non sarebbe mai più stato lo stesso- era crollato sotto le torture, aveva ritrattato tutto, aveva giurato che avrebbe distrutto il libro scritto con il suocero in cui la scoperta di un tempio Tamil nel nord era la prova che i Tamil erano arrivati per primi sull’isola.
La narrativa del romanzo- storia di una famiglia, storia dello Sri Lanka, storia dell’Australia- si sviluppa in un arco di tempo che va dagli anni ‘80 del secolo scorso ai giorni nostri, con cinque personaggi principali che si alternano alla ribalta. E l’inizio sembra idilliaco, con gli anziani ospiti di Cinammon Gardens che vengono trattati con affetto, viziati con i cibi che ricordino loro la vita passata, tempo trascorso in una stanza giochi, mentre noi veniamo introdotti a conoscere Maya (scrive romanzi seriali con una protagonista australiana sotto uno pseudonimo del tutto australiano dopo essersi vista rifiutare manoscritti giudicati troppo ‘etnici’), Zakhir che si sveglia ancora con gli incubi di notte e poi, ad un certo punto scompare e viene dato per morto, la loro figlia Anji che lavora come psichiatra nella casa di riposo, la sua amica bionda e australiana, Nikki, che è geriatra, Ruben, infine, uomo tuttofare a Cinammon Gardens, anche lui fuggito dalla guerra civile con il corpo segnato da cicatrici. C’è un’ombra pesante in questo quadro di persone che cercano di recuperare una qualche serenità, c’è il nome della bimba Florence, figlia di Nikki, una bimba di tre anni della cui morte sapremo i dettagli solo alla fine.
È un’ombra
che ne introduce altre, come nubi oscure che si addensano su Cinammon Gardens.
Ruben viene assalito e picchiato mentre ritorna dal lavoro (conosce dieci
lingue, insegna Tamil), graffiti oltraggiosi appaiono sui muri della casa di
riposo, il marito di Nikki, che sta per essere estromesso dal suo partito e
abbandonato dalla moglie, cavalca l’onda del razzismo. Bastano poche parole che
vengono stravolte e gonfiate a dismisura perché si accenda la discussione,
volino accuse- le solite accuse che si rivolgono agli immigrati anche se hanno
lavorato onestamente per anni nel paese che li ha accolti, anche se conoscono
la storia di questo paese meglio degli indigeni.
La Storia non insegna niente, tutto si ripete. Ad ogni episodio di violenza nella moderna Australia che sembra aver dimenticato le sue origini corrisponde la violenza perpetrata nel passato in un altro paese, il silenzio che l’Australia bianca ha imposto agli aborigeni è il silenzio a cui si vuol ridurre la cultura Tamil. E allora la voce di un libro deve essere salvata, si può morire per un libro, perché è il simbolo della libertà di pensiero, ci si può gettare nelle fiamme per salvare un libro, come fa Ruben nell’incendio finale che riduce tutto in cenere, un fuoco che aveva covato a lungo prima di divampare insieme alle passioni, all’odio, alla gelosia.
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