martedì 28 gennaio 2025

Sabrina Zuccato, “La levatrice di Nagyrév” ed. 2025

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    cento sfumature di giallo

Sabrina Zuccato, “La levatrice di Nagyrév”

Ed. Marsilio, pagg. 448, Euro 18,05

 

    1929. Nagyrév, un paesino nella vasta pianura ungherese. Zsigmond Danielovitz è incaricato di indagare sulla morte di una donna anziana del paese che è stata ritrovata, nuda, sulla sponda del fiume. Fin da subito a Zsigmond non piace l’atmosfera del villaggio. C’è un astio generale nei confronti della figlia della donna che è morta che si rivela già nel soprannome che le hanno affibbiato, ‘Anna la lurida’. Tutti berciano contro di lei, tutti la indicano come la colpevole e, dapprima, tutti accolgono con simpatia il gendarme che- ne sono certi- metterà in prigione Anna la lurida e sua figlia.

Poi le cose si complicano. Un biglietto, fatto scivolare sotto la porta della stanza occupata da Zsigmond, dice- con una calligrafia molto incerta- che adesso finalmente parleranno  le tombe che sono state mute per un decennio. E sono state tante le tombe scavate nel cimitero del paese negli anni dopo la fine della guerra. Un’epidemia di colera- si dice. Guarda caso, il colera colpiva soprattutto gli uomini. I corpi vengono riesumati, viene fatto arrivare il medico legale, unghie e capelli sono mandati ad analizzare. È il veleno che ha ucciso tutte quelle persone. Orrore, sconcerto, domande- chi ? come? Perché? Nessuno osa accusarla, ma una sola persona poteva avere ‘dato una mano’ a spedire all’aldilà uomini giovani, uomini vecchi, anche dei bambini, ahimé:  Zsuzsanna, la levatrice che sapeva curare con le erbe, che aveva la fama di essere una strega.

Zsusanna

    Potremmo capovolgere il titolo di Stieg Larsson, “Uomini che odiano le donne”, in “Donne che odiano gli uomini” e avremmo una chiave di lettura per quello che accadde a Nagyrév. Avevano ragione, quelle donne, ad odiare i mariti che le picchiavano selvaggiamente, da sobri e, tanto più, quando erano ubriachi, che magari erano stati loro imposti dai genitori in un matrimonio combinato, che si accoppiavano con loro perché i figli maschi erano la loro ricchezza e tanto più si doveva fare un altro figlio se quell’incapace della moglie aveva messo al mondo un’inutile femmina. Aveva ragione ad odiare il suocero la giovane moglie che doveva subire i suoi stupri (e naturalmente il marito dava a lei la colpa). Suscita invece la nostra compassione la figlia che aveva accelerato la morte dei genitori di cui lei si occupava con affetto, entrambi  senza autonomia e ormai incapaci di intendere (non fu condannata). Ci fa pena anche la giovane sposa che aspettava con ansia il ritorno dalla guerra del marito di cui era innamoratissima. Se è per quello, sì, lui era tornato. Gli era rimasto un solo arto, le orbite degli occhi erano vuote. Eppure lei lo curava, con lacrime e amore. Non era stata lei a prendere la decisione di una dolce morte.


    Quando si dice- la realtà supera l’immaginazione. Perché i fatti narrati in questo romanzo sono tutti veri. Sabrina Zuccato è straordinaria- avrebbe potuto usare il materiale di cronaca a mo’ di reportage, in maniera asettica, e invece non solo porta alla ribalta le donne una dopo l’altra, lasciandole parlare nella loro quotidianità, mettendoci davanti agli occhi il loro vissuto, come siano arrivate a lasciarsi aiutare dalla levatrice che diceva che c’è sempre una soluzione, ma indaga anche, in profondità nel carattere dei due personaggi principali, la levatrice Zsuzsanna e il gendarme Zsigmond.

   Era stata in carcere, Zsuzsanna, perché praticava aborti (che altro rimedio c’era per le donne con troppi figli e per quelle che erano state violentate?), e in prigione era stata preda dei carcerieri. Lei per prima odiava gli uomini e poi, gradualmente, dopo aver scoperto che cosa si poteva fare con la carta moschicida che conteneva arsenico, si era sentita come la Moira che taglia il filo delle vite umane, lei poteva far nascere e morire, era come Dio.


   Ma era poi tanto diverso Zsigmond Danielovitz che era tornato dalla guerra senza una mano e che si sente inspiegabilmente attratto verso di lei? Non provava forse le stesse cose quando aveva un fucile in mano, in guerra, e la licenza di uccidere?

    Possiamo leggere “La levatrice di Nagyrév” come se fosse un giallo, con la consapevolezza, però, che tutto questo è successo davvero. Possiamo leggerlo come un manifesto di ‘Donne alla riscossa’ e, nello stesso tempo, siamo chiamati ad esprimere un giudizio- di condanna, certo, per chi ha ucciso per intascare un’eredità, ma che cosa pensiamo di tutte quelle donne umiliate e vittime nella eterna maniera più facile, per un uomo, per assoggettare le donne?




   

   

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