lunedì 6 dicembre 2021

Bernardine Evaristo, “Radici bionde” ed. 2021

                            Voci da mondi diversi. Gran Bretagna e Irlanda

                                                          ucronia

Bernardine Evaristo, “Radici bionde”

Ed. Sur, trad. Martina Testa, pagg. 314, Euro 18,00

 

  Storia alternativa, ucronia- come sarebbe il nostro presente se il passato venisse capovolto? Un tema non nuovo, ricordiamo i titoli più famosi, “La svastica sul sole” di Philip Dick, “Il racconto dell’ancella” di Margaret Atwood, “Ada” di Nabokov, “Fatherland” di Robert Harris, a cui aggiungiamo adesso “Radici bionde”, un romanzo antecedente a quello, “Ragazza, donna, altro”, con cui Bernardine Evaristo ha vinto il Booker prize nel 2019.

    Il titolo dice tanto. Radici come il famoso terribile romanzo di Alex Haley, “Radici”, in cui lo scrittore raccontava la storia di Kunta Kinte, un progenitore della sua famiglia deportato come schiavo dal Gambia all’Africa. Bionde- non sono più i neri d’Africa ad essere presi prigionieri e poi venduti ma i bianchi di Europia (Bernardine Evaristo distorce e inventa nuovi nomi per la sua storia alternativa), individui bruttissimi agli occhi dei neri, con quella pelle bianca, i capelli fini e gialli e i corpi esili (soprattutto quelli delle donne, che non hanno i fianchi poderosi e il grosso seno delle nere, anzi delle nehre).


    I narratori sono due- quella che era Doris, rapita quando era una bambina e che ora è sulla trentina, e il Bwana suo padrone, che giustifica il suo ruolo, dapprima attivo durante razzie per procurarsi materiale umano e diventato poi un ricco possidente con coltivazioni di canne da zucchero.

    In realtà non c’è niente di nuovo in quello che leggiamo, piuttosto un totale ribaltamento della situazione. La paura, l’incapacità di capire quello che sta succedendo, l’illusione che tutto finirà bene, le proteste accampate da chi apparteneva a ceti elevati, le suppliche per poter tornare dalla famiglia, l’agghiacciante viaggio in mare in una stiva dove i morti giacciono accanto ai vivi nel puzzo di feci ed urina, i cadaveri gettati nelle onde, i calcoli fatti a sangue freddo sul numero dei ‘pezzi’ sopravvissuti, le ispezioni corporee come fossero bestie in vendita- di tutto questo abbiamo già letto nel libro di Haley, la diversità è nel fatto che siamo ‘noi’ gli schiavi. Anche nel seguito del racconto lo spunto viene da una realtà nera- Doris, a cui è stato dato un nuovo nome, diventa la ‘dama di compagnia’, l’unica amica della figlia del padrone (pensiamo al numero di ‘Mammy’ nere nei romanzi americani ambientati negli stati del Sud), poi succede quello che succede e lei cerca di fuggire usando la ‘ferrovia sotterranea’ che qui è una carrozza della metropolitana di Londolo (anche le ben note fermate della metropolitana sono state storpiate in maniera riconoscibile)…


    Quando è il Bwana nehro Kaga Konate… a parlare, l’uso dell’ironia è superlativo. Kaga Konate usa gli stessi argomenti pseudoscientifici già impiegati dai bianghi per affermare la superiorità della sua razza, includendo le misurazioni del cervello (più piccolo quello dei bianchi, quindi di minor levatura intellettuale), ridicolizza i loro comportamenti (compresa l’abitudine di soffiarsi il naso in una pezza sporca che diventa un nido di batteri) e il loro modo di abbigliarsi, trasporta nella nuova situazione il grido di Kurtz, ‘l’orrore, l’orrore, l’orrore’, nel “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad, giustifica la pratica dello schiavismo come una maniera di insegnare qualcosa ai bianghi, per tirarli fuori dal loro selvaggio modo di vivere.


    La trasformazione dei termini si apprezza certamente di più nella lingua originale, perché anche questi aiutano a caricare l’atmosfera di paradossi, ma, anche se “Radici bionde” non brilla per originalità e non è alla pari del romanzo più maturo vincitore del premio, offre ugualmente una bella lettura.

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